Onde Elastiche: intervista ad Ariele Monti di Area Sismica
Area Sismica è un posto speciale, che propone musica coraggiosa e mai prevedibile a Ravaldino in Monte, a due passi da Forlì, in una ex casa del popolo rossa, intima ed accogliente, spesso e volentieri la domenica pomeriggio, intorno alle 18. Solo quest’anno abbiamo visto Arashi, Otomo Yoshihide, il trio di Frith, i giapponesi Goat e Kukan Gendai, Digital Primitives e all’Open Music, il festival gratuito organizzato da Area Sismica nello splendido spazio dell’ex chiesa di San Domenico, uno scintillante progetto tutto italiano di Rob Mazurek.
Stiamo parlando di un posto che da molti anni semina cultura, fortemente legato ad un’idea politica e pura del fare musica e del diffonderla. Avendolo come compagno di concerti al festival jazz di Sant’Anna Arresi, non era possibile non fare una chiacchierata con Ariele Monti, uno degli animatori di questa benemerita sacca di resistenza al nulla imperante, giunta eroicamente quest’anno alla sua ventottesima stagione.
Mi racconti come e quando nasce Area Sismica? Chi, perché?
Ariele Monti: Allora, io non sono tra i fondatori e mi sembra di ricordare che l’Area Sismica nasce non ufficialmente nel 1989, neanche con una cosa musicale, ma con una kermesse che aveva a che fare con la poesia, tant’è che è stato un poeta, Nicolino Vignali, a dare un po’ l’idea del nome di questa associazione. Erano parecchi ragazzi di Meldola, due dei quali erano miei amici di infanzia. Poi, nel 1993, quando entrai anch’io in gioco, c’è stata la possibilità di iniziare a organizzare delle cose e aprirsi alle rassegne, anche se i primi sovvenzionamenti li abbiamo iniziati a ricevere nel 2001. Dalle rassegne piano piano siamo cresciuti, abbiamo avuto diversi intrecci con altre realtà. Per lungo tempo Johnny, una delle colonne portanti dell’Area ha fatto un sacco di tournée, sbattendosi a costo zero, abbiamo cambiato pelle diverse volte, ma mai l’anima, siamo partiti dal rock in opposition per poi calarci in ambiti sempre più presenti, sismici per così dire.
Primo concerto organizzato?
Un festival dedicato agli Etron Fou Le Loublan coi quattro membri della band, con la speranza che a fine festival ci fosse la reunion. Io non c’ero ancora.
Fino ad arrivare alla reunion degli Henry Cow del 2014.
Con gli Etron Fou c’era una volontà o speranza di Area Sismica, con gli Henry Cow accadde il contrario. Io avevo saputo da Stefano (Giallo), che mi mandò un sms a un orario improbabile, che c’erano gli Henry Cow al Barbican a Londra. Allora per evitare problemi, presi quattro biglietti aerei così, al buio, tanto quattro patacca che venivano con me li trovavo di certo. Poi però, dopo aver ragionato tutti assieme, scrissi contemporaneamente a Cutler, Hodgkinson e Frith. Hodgkinson rispose subito: “Perchè no?”, e Frith disse di rivolgersi a Cutler, che tirava le fila della cosa. Avendo lui mantenuto lo spirito dell’epoca di non avere intermediari, organizzammo direttamente con lui e dal punto di vista professionale e logistico fu bestiale, perché venivamo da tutto il mondo e combinare i voli fu complicato, però fu bello perché dalla data secca che doveva essere a Londra, vennero pure da noi a Forlì, dove arrivò gente da San Francisco, dall’Inghilterra, dalla Serbia. Non avemmo nessun contributo pecuniario istituzionale, eravamo obbligati a fare il tutto esaurito per non rimetterci, scommettemmo e andò bene. Abbiamo uno scheletro abbastanza osteoporotico, ma abbiamo retto, e anche con Frith si è creato un rapporto continuativo (Frith, sulla rivista Prog Italia, ha speso parole di sincera ammirazione per l’Area Sismica).
Tu vieni dal punk. Quando ti sei rotto le orecchie a questi altri suoni?
Mia sorella nel 1979 andò a Londra un mese per studiare inglese. Tornò superpunk, con i miei disperati, quindi l’imprinting è stato quello, hai dieci, dodici anni, quella musica ti gasa. La virata avvenne quando il punk virò verso l’hardcore ed era un po’ tutto uguale, il riflusso fu verso il jazz classico, quello che ora non ascolto più, poi da lì la classica contemporanea, l’improvvisazione e la folgorazione avvenne proprio con Fred Frith.
Capitolo musicisti italiani. Non ne fate molti.
Noi facciamo, primi in Italia, un festival di musica contemporanea con musicisti italiani e ci teniamo. Per l’ambito improvvisativo crediamo di aver invitato quelli molto bravi e di livello europeo. Facciamo 25-30 concerti all’anno e solo io ricevo 40 email al giorno con proposte di live, già scremate, fatte da chi sa già chi siamo e cosa facciamo. A volte peschi il jolly, con Schnellertollermeier, che apriranno la nuova stagione l’8 ottobre. Si sono proposti loro due anni fa, noi , pur con i nostri tempi, ascoltiamo tutto. Noi facciamo in un anno i concerti che fa il festival di Wels in Austria in tre giorni.
Ci presenti la prossima stagione?
A causa di lavori di ristrutturazione improcrastinabili siamo partiti più tardi del solito con la programmazione dei concerti ma, pur non avendo avuto risposte dalla proprietà (le mura sono di una cooperativa e l’edificio è una ex casa del popolo, e paradossalmente una struttura antisismica per un locale che si chiama Area Sismica non era prevista), inizieremo comunque, anche se non abbiamo certezza sul dove faremo le prime cose. Comunque partiamo, come detto, l’8 ottobre con questo trio molto potente, basso-chitarra-batteria, Schnellertollermeier, sulla scia di Aleuchatistas, Gutbucket, Persona Non Grata, Cheval De Frise (incidono per Cuneiform), poi ci sarà il gradito ritorno di Eugene Chadbourne col suo banjo, il progetto The Electric di Axel Dörner, il trio Thumbscrew con la chitarrista Mary Halvorson, i Made To Break di Ken Vandermark, poi un giorno di festival di musica contemporanea con sei concerti di 25 minuti ciascuno con anche Enrico Malatesta (ci apriamo anche a un ambito non scritto), poi Abraxas di Shanir Blumenkranz, a gennaio due formazioni italiane, quella di Stefano Lanzi e un progetto di Stefano Giust di Setola di Maiale, Evan Parker, Walter Prati e Roberto Masotti con proiezioni dal vivo e, speriamo, Chicago London Underground come festa finale con Pino Saulo di Battiti a mettere i dischi e Otomo Yoshihide in solo (per il dettaglio del programma vi invitiamo a seguire la pagina Facebook di Area Sismica e a visitare il sito areasismica.it, ndr).
A proposito dei concerti della domenica. Io purtroppo, non vivendo esattamente dietro l’angolo, ho cominciato a venire con una certa assiduità solo quest’anno. Mi racconti qualcosa del vostro pubblico?
C’è gente che viene da Milano, Padova, Bolzano, Trieste, molti toscani, dall’Emilia, da Giulianova Terme addirittura, Perugia e anche un certo reflusso di giovani, di studenti che fanno capolino nel locale per i concerti di classica contemporanea, e questa è una cosa molto bella.
La via sarà quella, riorganizzare anche la struttura stessa, ringiovanirla, senza essere troppo compiacenti. Per me il rinnovamento passa attraverso la fusione soprattutto degli ambiti contemporanei. L’ambito contemporaneo, soprattutto dalla musica aleatoria in poi, ha guardato molto all’improvvisazione e il free jazz ha guardato alla classica contemporanea.
E musiche “cantabili”, non le segui proprio?
Qui (siamo in Sardegna al momento dell’intervista, ndr) siamo in una terra dove i canti polifonici sono da pelle d’oca. Porgere la voce in modo classico, raccontando una storia, non è una cosa che mi interessa proprio. Odio incondizionatamente quasi tutta la musica italiana attuale, a partire da uno dei più venerati tra i giovani che è Vinicio Capossela, che per me è la morte cerebrale.
Invece uno strumento che ti emoziona particolarmente?
Se c’è uno strumento che vorrei approfondire con lo studio, potendo tornare indietro nel tempo, sarebbe il contrabbasso. Ferdinando Grillo, con Fluvine su Ampersand, ha fatto un disco fantascientifico, e se guardi su YouTube le performances di Scodanibbio sono anche belle da vedere. L’ensemble di otto contrabbassi Ludus Gravis è davvero qualcosa di speciale: l’idea nasce da Daniele Roccato e Stefano Scodanibbio. È grazie a lui, una bellissima persona, molto radicale, con cui è nato un bel rapporto di amicizia, se noi da quindici anni facciamo la rassegna di musica contemporanea. È stato lui a dirci “Dovete farlo assolutamente” (segue una lunga digressione sul rapporto con Scodanibbio e sulla vita e la morte del grande musicista scomparso in Messico nel 2012, ndr).
So che in estate, quando chiudete, andate in giro per festival. Cosa noti, da ascoltatore e da organizzatore?
Dal punto di vista del supporto, è tutto abbastanza chiaro. Ci sono festival con budget dai quattrocentomila Euro in su, parlo di Wels, Lubiana, Nickelsdorf, l’A l’Arme, Meteo, tutti i festival interessanti, escludendo Nickelsdorf, che è su un livello ancora superiore. Il problema è far fuoriscire dalle maglie sempre più strette dell’intrattenimento le giovani generazioni. Si percepisce che tutti hanno capito che la direzione va cambiata, ma nessuno ancora rischia di aprirsi con la musica contemporanea pura.
Cinque dischi irrinunciabili?
Se me lo chiedi adesso e poi tra cinque minuti, potrebbero essere diversi.
The Voyage That Never Ends di Stefano Scodanibbio.
Live At Village Vanguard Again di John Coltrane.
Tails Out di Otomo Yoshihide.
Speechless di Fred Frith.
Son quattro, ma va bene uguale. Li compri i dischi, come ascolti la musica?
Io sono un cultore dell’ascoltare bene, non mi piace il vinile, i cd mi piacciono molto, ma non ho problemi ad ascoltare la musica attraverso file di buona qualità. Tutto lo studio dell’Area Sismica è stato fatto perché si senta bene quando c’è un concerto.
Cambiamo prospettiva: se dovessi consigliare un libro e un film?
Mi piacciono molto i film di spionaggio, quindi direi “La talpa”, e come libro “Zombie Outbreak” di Rocco Ronchi, un filosofo che si lancia in un approccio divertente… e mi piacciono molto i noir.
Leggi riviste di musica?
Ho smesso anche The Wire. Sono da sempre un fan di Mario Gamba, che è quello che dovrebbe essere un critico musicale, non un cronista. Abbiamo intrattenuto rapporti con Blow Up tanto da organizzare anche una festa del giornale tempo fa, ma ora non compro più riviste. Certe recensioni, sulla stampa specializzata come su Internet, io non le capisco. Una recensione di un concerto deve restituirti le sensazioni; ci sono i professorini che ti descrivono minuto per minuto quello che è successo. Trovo che questo sia un po’ uno sciorinare la propria cultura che non porta a nulla.
È importante prendere una posizione e non fare sfoggio di collegamenti e citazioni.
Anche quando mi mandano una mail con un link da ascoltare, per me è il live che fa la differenza, più del disco. È capitato anche di prendere dei pacchi, ti aspetti una roba dal cd e poi dal vivo rimani molto deluso (segue una lista che resterà segreta di alcuni nomi degli anni passati, ndr).
Posti e persone che sentite affini a voi in Italia?
Il Centro d’Arte di Padova su tutti, l’Asilo di Napoli dove organizza cose Ciro Longobardi, il Blutopia a Roma, Giuseppede Di Bernardino a Giulianova, Curva Minore e Lelio Giannetto a Palermo. Aggiungo Rassegna di Musica Nuova di Macerata e Angelica di Bologna.
Per il jazz abbiamo figure in Italia che artisticamente se la giocano con i più conosciuti ma non sono internazionalmente conosciuti, nella classica contemporanea invece i musicisti validi sono già immersi in un circuito transnazionale. In questo ambito da subito si aprono connessioni internazionali, mentre nel jazz ti devi fare le ossa da solo.
Un concerto che sei particolarmente orgoglioso di aver fatto e uno che speri di fare presto?
Arditti Quartet (senza pensarci un attimo, ndr) e da fare Exploding Star Orchestra, Roscoe Mitchell, Wadada Leo Smith.