OMAR SOULEYMAN, 22/3/2014
Bologna, Locomotiv.
È un’aria strana quella portata da Omar Souleyman in questo tour protoprimaverile e la sensazione che questo nome abbia sbancato è ormai confermata. Tutti ne parlano, chi bene e chi male, ma la pubblicità arriva in entrambi i casi. Il risultato è un Locomotiv pieno sul tardi: il programma della serata è sballarsi qui e continuare al Link con Marcel Dettmann, ma le danze cominceranno ben dopo il previsto. Un’ora e mezza di ritardo su quanto stabilito dall’evento, col pubblico non vuole più aspettare.
Tocca ai nostrani Phantom Klang scaldare la sala. Una missione che riesce a metà, ma alcuni del pubblico sono già nell’ottica di ballare ed esaltarsi, ottimo. La proposta è uno psych funk a base pop, linee di basso portanti seguite da intervalli di chitarra e testi cantabili. Un po’ melensi e spinti a forza nell’alternativo, forse, troppi pantazampa e camicie, baffi e borsalino non so quanto convincano più. In ogni caso la struttura regge e – dicevo – fa ballare (soprattutto le ragazze), quindi di sicuro l’obiettivo è centrato. Alcuni errori da sala prove come cantare tappando un orecchio con la mano possono essere evitati, fatto sta che la gente è pronta per il seguito.
Il fenomeno che ha portato sin qui Omar Souleyman nasce in un periodo che ha visto l’espandersi in territori occidentali di musiche folcloristiche orientali, un “nuovo” gusto condiviso da molti anche grazie alla radicale torsione del suono verso note più accettabili da un’audience abituata a ben altro. In questo caso i suoni appartengono alla “dabke”, musica folk araba, che stasera verrà proposta in una versione ben nota – ovviamente – a chi segue Omar Souleyman, ma molto lontana dalla sua concezione originale. Ci vuole un po’ perché il protagonista faccia la sua entrata, qualche minuto di introduzione tramite due tastiere maneggiate dal collega e accompagnatore di Souleyman, colui che crea tutte le musiche sul palco e incarnatore di una componente interessante dello show: lui suona, pigia i tasti e crea il ritmo. Souleyman è il frontman e nel momento in cui si presenta al pubblico, vestito con i caratteristici abiti, parte il delirio come si trattasse di una star leggendaria e il concerto vero e proprio ha inizio. Dopo aver ascoltato “Wenu Wenu” si sa cosa aspettarsi. Quasi tutti i pezzi sono tratti dall’ultimo album e la performance rende onore al disco. Come dicevo prima, però, è la componente di autenticità ad essersi consumata: cassa dritta con bassi che farebbero concorrenza agli Stunned Guys e il ricamo dabke sopra, questa è l’essenza del concerto. Forse una simile operazione ha reso famoso anche Bregović, ma penso che entrambi, quando suonavano a matrimoni, non proponessero quel che a noi viene propinato come “la musica tipica delle feste siriane o di Sarajevo”. Detto questo, il live risulta molto trascinante, la musica è impregnata di techno e quindi la gente balla, si scatena, salta e si diverte… era questo il senso, no? Omar canta una strofa ogni cinque minuti e per il resto del tempo batte le mani e stringe quelle dei fan. A fine serata anche io batto le mani. Travolgente di sicuro, spiritoso (forse), di discutibile contestualizzazione mediorientale.
Grazie a polpettamag per le foto.