OLIVIA BLOCK, 132 Ranks
Biografia ufficiale alla mano, Block, nata a Dallas nel 1971, si definisce prima media artist, poi compositrice. 132 Ranks è un lavoro su commissione (di Lampo, realtà della quale ci ha parlato poco tempo fa anche Anthony Pateras): le è stato chiesto di suonare il grande organo della Rockefeller Chapel di Chicago (dove credo viva adesso), facendo risaltare l’acustica e l’architettura dell’edificio, così da ottenere un’opera d’arte che stesse a metà strada tra la musica e l’installazione. Non a caso, infatti, su questo disco non ascoltiamo solo lo strumento, ma siamo come seduti lì – il 21 aprile 2017 per la precisione – in mezzo al pubblico, sentiamo i passi delle persone, il fruscio dei vestiti, i colpi di tosse e la stessa Block che sistema tutto prima di iniziare il suo concerto. In più sappiamo dell’esistenza di suoni pre-registrati provenienti da vari speaker opportunamente sistemati in vari punti della chiesa, ma mentirei se dicessi di poterli individuare. Pur essendo abituato a ogni tipo di oltranzismo sonoro (estremo silenzio ed estremo rumore, poco conta), confesso di essermi messo d’impegno per affrontare più volte i 50 minuti, in apparenza piuttosto (troppo?) destrutturati, di 132 Ranks. Si passa da sibili continui e acuti quasi inudibili a momenti in cui le canne producono dei bordoni che cancellano la Chiesa e gli esseri umani che la popolano per portarci in un luogo astratto che prende in modo uniforme il colore che il nostro cervello assegna al timbro del suono percepito in quel momento. Parte del disco diviene anche il “respiro” di quello che non dimentichiamo essere un aerofono, la registrazione di questa creatura gigantesca che mette in moto il suo corpo di legno, metallo e altro per obbedire agli ordini della Block. 132 Ranks è musica concreta più drone sacrale: non si può quasi mai parlare di melodia, tranne in alcuni passaggi da una nota sostenuta all’altra in cui sembra di sentire il synth sovietico colonna sonora di Solaris. Armarsi di pazienza.