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OBSEQUIES, Organn

[…] bello come la retrattilità degli artigli degli uccelli rapaci; o ancora, come l’incertezza dei movimenti muscolari nelle pieghe delle parti molli della regione cervicale posteriore; […] e soprattutto, come l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello (Isidore-Lucien Ducasse)

Obsequies è lo pseudonimo di un producer belga del quale non sappiamo il vero nome. Se cerchiamo su un dizionario inglese i sinonimi di questa parola (che sta per esequie, funerali) otteniamo una serie di lemmi che molti lettori di queste pagine certamente gradiranno, dato che rimandano a un’area che appassiona chiunque ascolti il metal estremo di ieri e di oggi. Entombment, Inhumation, Interment, Sepulture… Scriviamoli pure in maiuscolo, visto che talvolta, come avrete notato, coincidono o quasi con nomi di formazioni storiche e non solo con mezzo catalogo Pulverised. Ma voi giustamente direte: cosa c’entrano i Sepultura con un disco – quello in questione – a base di musica elettronica estremamente immateriale, che per giunta ha l’obbligo tutto moderno dell’alta definizione? Per i puristi sarà già scattato l’allarme eresia. Chi invece ha letto le nostre interviste a Justin K. Broadrick e Mick Harris sa bene di cosa stiamo parlando; sa bene che gli ibridi sono sempre materia viva, terreno fertile. È un tipo ben predisposto e probabilmente vanta anche un sano (o perverso) gusto per gli accostamenti impossibili.

Organn – che di Obsequies è l’album di debutto, uscito su quella Knives gestita da Kuedo col sostegno ufficiale di Planet Mu – rientra con discreta facilità nel giro di musiche elettroniche HD/hi-tech/antinostalgiche, o come le vogliamo chiamare (anche al fianco di un Arca, tanto per dire). Un circuito che, guardacaso, in diverse occasioni ha ammiccato a un immaginario tipicamente death o black metal: parlano chiaro le copertine dei dischi di WWWINGS, Dinamarca, Kablam e Dasychira, ma pensiamo anche a certe microtendenze di casa Opal Tapes oppure Blackest Ever Black (vuoi mettere un nome come “Pessimist”?). E un tale Bulma, anche lui dal Belgio, ha dichiarato al portale britannico Astral Noize che il prevalere di influenze metal nella musica elettronica è qualcosa di davvero eccitante, aggiungendo anzi che “the only problem is that metal influenced electronic music doesn’t have yet so much space in the club”.

Stiamo esagerando e procedendo per iperboli, ma ci fa ben sperare il fatto che Obsequies, come da comunicato, abbia trovato ispirazione in un’opera (l’ottocentesco “Les Chants de Maldoror”) del poeta francese Isidore-Lucien Ducasse, conte di Lautréamont, un “maledetto” riscoperto in epoca di surrealismo. Altro riferimento estremo. E per Obsequies, infatti, la questione verte sull’immaginario più che sulle sonorità.

“Organn is a record about love and duality” recita ancora il comunicato stampa, e in effetti il disco procede per contrasti e contraddizioni, facendo tesoro delle parole della producer Ziúr quando afferma che “you can only tell that something is harsh when you have a soft side to compare it to”. E allora, tra blackout costanti e cortocircuiti (anche emotivi, ovviamente), questi sei brani vanno alla ricerca di una bellezza da scovare nella materia corrotta e guasta di una musica oscura, sotto cui si celano rimandi e impressioni che vanno dal glitch di inizio millennio al rumorismo digitale, dagli Autechre autistici di Confield al cut-up scriteriato. Una bellezza misteriosa, languida e seducente, almeno quando coincide con frammenti di senso comune immersi in un contesto altamente dispersivo, che ne altera il registro e li rigetta in forma di fenomeni perturbanti.  È sufficiente citare il caso emblematico di “Asthme”, la quarta traccia, per come contrappone timidi motivi di lirismo alla maniera di un Tim Hecker a uno strato di asprezze noise e kick che impattano con violenza. Poi il pezzo diventa una sorta di r’n’b virtuale. La parte cantata è quella di un uomo scisso, diviso in due metà: una, quella sintetica, riproietta le voci offese e cibernetiche di N-Prolenta o Khalil; l’altra, quella (ancora) umana, fa curiosamente pensare a James Blake. Ve lo ricordate James Blake, no?

È un ascolto non facile quello che ci propone Obsequies, consigliato a chi in certe acque ci sguazza già. Non è detto sia un disco che passerà agli annali; ma, unendo i titoli degli ultimi due brani, notiamo che per l’autore deve certamente essere qualcosa di consumed but beautiful. E ci può stare.