OBITUARY, Inked In Blood
Un po’ di tempo fa era rimbalzata sui media dedicati la notizia che gli Obituary avevano lanciato una campagna di crowdfunding per realizzare il loro nuovo disco dopo la scadenza del loro precedente contratto con Candlelight. Sulla pagina Kickstarter, ancora visibile, il gruppo si poneva l’obiettivo di raccogliere diecimila dollari: “$10,000 is the absolute minimum that we need to pay our production team. These guys are incredibly talented, and they are ready to record, mix, master and produce the new Obituary album”. Già allora rimasi stranito. Innanzitutto mi sembrava curioso che un gruppo noto come gli Obituary non fosse in grado di trovare un’etichetta e quindi fosse costretto ad autofinanziarsi, ma forse era stato fulminato sulla via di Damasco del DIY, decidendo di fottersene del mercato della musica, pur piccolo in campo death metal e di fare – appunto – tutto da solo. Scelta lodevolissima e da parte mia anche condivisibile.
La cifra mi sembrava un po’ alta, considerando che lo studio di registrazione era teoricamente di proprietà della band (“We have already built a full studio with all of the necessary equipment to record”, recitano gli Obituary su Kickstarter, e lo conferma anche Kenny Andrews in un’intervista: “We have a small studio on John Tardy’s property. We run pro tools and have a pretty great setup. We record and rehearse in that space. It gives us the freedom to enter the space and relax. We’re not in someone else’s studio, paying thousands per song or session to make music”). La somma richiesta, quindi, me l’ero immaginata come principalmente destinata alla stampa, tolti i costi di mastering, grafica, promozione… e, ovviamente, quelli per ottemperare a quella sorta di pre-ordini alla base dei crowdfunding. Apro una piccola parentesi: è proprio la disproporzione fra il valore d’uso, materiale, di quello che si acquista nel crowdfunding e il suo prezzo finale, gonfiato dal valore simbolico, a rendere l’operazione proficua, è il pelo pubico allegato al plettro a fare la differenza e – a volte – nemmeno quello. Ritornando a noi, a questo punto far finanziare la stampa interamente dai cosiddetti “fan” godendo poi dei benefici (il guadagno sulle copie ovviamente vendute, non è che gli Obituary sono un gruppuscolo che stampa mille che poi rimangono sotto il letto ad ammuffire) e lasciando loro solamente i benefici simbolici di cui sopra, quali autografi e memorabilia di gusto feticista (un piatto rotto di Donald Tardy per esempio), mi suonava un po’ ipocrita e sostanzialmente poco dignitoso. Insomma, 30 dollari per cd + adesivo + coozie non era esattamente un affarone. “Sarò io che sono cresciuto nel giro punk DIY integralista e quindi trovo sempre da ridire”, pensavo.
Quando la raccolta è arrivata a ben sessantamila dollari, ho decisamente sgranato gli occhi. Beh, con una cifra del genere puoi letteralmente fare quello che vuoi e te ne avanza per una vacanza alle Seychelles. Stando all’intervista di cui sopra: “Q: When you launched the campaign, Obituary was without a label. Did you initially plan to release the album yourselves? Kenny Andrews: That’s a question for John and Donald more than me, but I do think that is what they had in mind initially”. Quindi a quel punto le condizioni erano ideali: senza dover anticipare nemmeno un centesimo gli Obituary potevano lanciare veramente il loro progetto DIY, un DIY un po’ farlocco e ipocrita perché sulle spalle degli ascoltatori, ma pur sempre DIY. E invece cosa è successo? Gli Obituary annunciano il contratto con la Relapse, come recita il bugiardino promozionale: “Now we have teamed up with Relapse Records to have them get this new album out there, in stores and available to the fans world wide […], they are excited to have Obituary on their roster and are ready to push this album to its fullest potential”. Non mi si fraintenda, non sto lanciando accuse dirette perché non ho gli elementi per farlo, la natura precisa dell’accordo con Relapse non è nota e il comunicato riguardo la partnership è molto vago in tal senso, però i casi estremi sono due. 1) Relapse distribuisce solamente il disco che è stato stampato con i soldi raccolti dal gruppo, la cifra di 60.000 dollari, tolte le spese, potrebbe essere abbastanza compatibile con i 7600 doppi lp annunciati, i cd (dal numero imprecisato) e il merch… magari serve qualche soldo in più, ma teniamo conto che Relapse ha ricevuto ulteriori nuovi pre-ordini nel frattempo. Teniamo anche conto che hbnbm.com ci dice che “Inked In Blood, the ninth studio album from Florida death metal veterans Obituary, sold around 5,200 copies in the United States in its first week of release to debut at position No. 75 on The Billboard 200 chart. 2) Il disco esce a tutti gli effetti su Relapse, che ha finanziato tutto e gli Obituary si sono intascati i 60.000 dollari. Chiaramente il secondo caso è un estremo poco probabile e, infatti, Donald Tardy, in un’intervista a metalskunk.com rivela e chiarisce tutto quanto: “We’re not just a band on a record label, we’re partners on the record, which means we split the cost of making the record, printing the record and distributing the record and the marketing campaign to get the word out and we also split the profit with Relapse”.
La realtà, in conclusione, è sostanzialmente questa: grazie ai soldi raccolti su Kickstarter Relapse ha dovuto sborsare di meno, permettendo agli Obituary di strappare un contratto più vantaggioso. Per Relapse non cambia nulla, il profitto è il solito, aumenta invece la quota per il gruppo, fin qui nulla di male, è un giusto riconoscimento verso gli sbattimenti coronati da successo, non fosse per il fatto che le maggiori entrate sono dovute esclusivamente ai soldi donati dai “fans”. Il guadagno è tutto di chi non ci ha messo soldi (Obituary) oppure ne ha messi pochi (Relapse), mentre gli “azionisti” che effettivamente hanno finanziato tutto quanto non ci prendono nulla, a parte il solito pelo pubico autografato dal grande valore simbolico. Non c’è molta differenza con gli Extrema che chiedevano soldi per pagarsi lo slot nel tour coi Death Angel, quantomeno però gli Obituary vedranno rientrare con gli interessi quanto di non proprio hanno investito, a differenza degli Extrema. Tutto sommato sto solo cercando di analizzare e capire una riuscita operazione di marketing, non ho nessun interesse economico (non ci ho messo un centesimo), né etico (ognuno fa quello che vuole, nel mainstream succede ben di peggio, figuriamoci), però sarebbe interessante che qualcuno che, invece, i soldi ce li ha messi, si incuriossisse un po’ sull’uso che ne è stato fatto anziché accontentarsi di un feticcio pagato molto caro. E, magari, il tutto può servire come contributo per una riflessione sull’uso crescente del crowdfunding per finanziare i propri progetti musicali. Come forse traspare, ho una mia opinione piuttosto velenosa a riguardo. D’altra parte quando si vedono vecchie maglie di gruppi death metal vendute (vendute, eh! Non solamente messe all’asta) a mille/duemila dollari, si capisce che in realtà sono tutti contenti così e tutto il mio ragionamento può serenamente andare a farsi friggere.
Posso insomma passare a commentare gli sforzi musicali degli Obituary. Purtroppo musicalmente non riesco a stroncarli, sebbene molti l’abbiano fatto e sebbene il lungo incipit (beh, più una tesina che un incipit) possa far presagire giudizi affilatissimi. Sarà che i primi tre dischi degli Obituary sono un mio caposaldo adolescenziale ma, tutto sommato, al gruppo sono affezionato. Non che li abbia troppo seguiti negli anni Duemila, dopo World Demise ci hanno messo un po’ a risollevarsi dall’impasse creativa, i dischi da Frozen In Time in poi non sono stati male anche se nulla di trascendentale. Inked In Blood, ugualmente, non demerita ma nemmeno brilla troppo: è piacevole da ascoltare per chiunque abbia amato i vecchi Obituary, ma dopo un po’ la voglia di rimetterlo su cala. Il timbro della chitarra di Trevor Peres è sempre quello, anche se un po’ annacquato rispetto al passato, la voce di John Tardy ha perso decisamente smalto ma alla fine rimane inconfondibile, Kenny Andrews non è un Allen West o un James Murphy, ma è sempre più godibile di un Ralph Santolla, Donald Tardy fa sempre il suo sporco mestiere alla batteria, notevole piuttosto l’inserimento di un pezzo grosso come Terry Butler dei Massacre al basso, ma non è abbastanza. Il suono generale non è malaccio (visto il budget, no?): avevo paura di una produzione troppo moderna, invece è tutto abbastanza naturale; abbastanza ripeto, perché con Pro-Tools sembra quasi ineludibile farsi prendere la mano al giorno d’oggi. I pezzi sono un po’ ridondanti (è una caratteristica degli Obituary del nuovo millennio), si indulge sull’impatto, su tempi medi e non si preme molto sull’acceleratore, mentre secondo me è proprio quando lo si fa che i risultati sono migliori e i pezzi si elevano, vedi “Violence”, in cui riemerge finalmente quella forte influenza Celtic Frost che li aveva sempre caratterizzati. Spesso, purtroppo, la noia sale in cattedra (vedi “Back On Top”, per esempio) e in questo caso non c’è affezionamento che tenga e, soprattutto, non c’è crowdfunding che risolva. In conclusione, un disco coi suoi bei momenti ma non esplosivo, un 6 e mezzo insomma. Voto: ah, già detto…
Tracklist
01. Centuries Of Lies
02. Violent by Nature
03. Pain Inside
04. Visions In My Head
05. Back On Top
06. Violence
07. Inked In Blood
08. Deny You
09. Within A Dying Breed
10. Minds Of The World
11. Out Of Blood
12. Paralyzed With Fear