In studio assieme agli Obake
Degli Obake ci siamo occupati spesso, così come degli altri progetti che vedono coinvolto Eraldo Bernocchi, da sempre all’opera per collegare le forme espressive più innovatrici e interessanti in campo musicale, soprattutto quelle fuori da dogmi e traiettorie semplicistiche. Con Obake in particolare prende vita un mostro mutante in cui il metal funge da tessuto connettivo tra i differenti background e le forti personalità dei musicisti coinvolti: oltre al già citato Bernocchi, la band è formata da Lorenzo Esposito Fornasari, Colin Edwin (Porcupine Tree, Metallic Taste Of Blood) e Jacopo Pierazzuoli (Morkobot). I quattro sono impegnati proprio in questo periodo nella realizzazione del nuovo album e ci hanno permesso di sbirciare (foto di Francesco Filippo e video in esclusiva per voi) cosa sta accadendo dietro le quinte. La chiacchierata che segue non fa che aumentare la curiosità per un disco che promette di mantenere alta l’attenzione guadagnata dagli Obake con il precedente Mutations e riconferma la loro disponibilità.
Ciao, prima di tutto grazie mille per averci offerto la possibilità di sbirciare nel vostro studio, partiamo col dirci come vi preparate per registrare e cosa vi portate dietro, non solo a livello di strumentazione ma anche di idee, prospettive, direzioni già decise… Fate un punto della situazione prima di cominciare o vi gettate senza rete per lavorare in presa diretta?
Eraldo Bernocchi: Ciao Michele e grazie a te e a The New Noise per il supporto che ci date. In realtà non abbiamo tantissimo con noi, a parte Jacopo che si è portato un negozio di batterie e percussioni… Qualche chitarra, basso e una valigia di pedali. Il più parco di tutti è Colin, strumento e qualche pedalino. L’esagerato come al solito sono io, che mi porto sempre una marea di opzioni diverse, ma mi piace non solo avere delle possibilità ma anche sperimentare al volo, quindi più roba ho, più la tavolozza di colori si amplia. Lorenzo si è portato poco, a parte la chitarra: il suo lavoro inizierà sul serio tra qualche settimana con la registrazione delle parti vocali. La novità a livello di strumentazione è che questa volta oltre alle mie fidate chitarre baritone ho portato una Nude Guitar con manico in alluminio. È uno strumento eccezionale, con un sustain e una risonanza fuori dal comune e sono felicissimo di averla impiegata nel disco, non vedo l’ora di usarla dal vivo in tour.
Come sempre siamo andati diretti. Colin ha portato qualche loop ritmico per dare degli spunti e io avevo dei riff che mi ero messo in tasca in previsione del nuovo album, ma al 90% andiamo come l’istinto ci suggerisce. Abbiamo sempre fatto così e dà i suoi risultati. Le raffinatezze arrivano in una seconda fase.
Quanto conta, quindi, la fase successiva? Tendete a rimaneggiare pesantemente quanto svolto nella prima o vi concentrate piuttosto su dettagli e arricchimenti?
Eraldo Bernocchi: In realtà non troppo. Più che altro si tratta di arricchimenti o magari piccoli cambiamenti. Non vogliamo che si perda l’energia di quanto è stato fatto in studio. Capita di registrare nuovamente delle chitarre o dei bassi perché magari non ci soddisfano, ma i riff e il “ceffone” restano invariati. La fase di editing se vuoi è più da nerd… non siamo mai soddisfatti dei dettagli… che alla fine sentiamo solo noi, ma i dischi, almeno per quanto mi riguarda, io li faccio prima di tutto per me, quindi – se non sono felice al 1000 per 1000 – continuo a metterci mano. Lorenzo è anche peggio di me.
Torniamo un attimo alle vocals, cosa dobbiamo aspettarci a livello vocale da questo album? Ho apprezzato moltissimo il lavoro svolto sul precedente disco e mi piacerebbe avere qualche “spoiler”/anticipazione.
Lorenzo Esposito Fornasari: Nel momento in cui un gruppo trova una ricetta che funziona è per assurdo probabile che sia il momento di cambiare le carte in tavola… Almeno così è per me, lo dobbiamo a noi stessi: trovare la giusta energia e i giusti stimoli è fondamentale se vuoi portare avanti una band, soprattutto se lo vuoi fare con un approccio totalmente onesto. Vogliamo tutti continuare a sperimentare (voce inclusa)… Può quindi anche darsi che i nuovi pezzi e le nuove tracce vocali vi facciano vomitare.
Che effetto fa costruire un brano e vederlo prendere vita direttamente in studio? Credete che questo approccio determini un differente mood rispetto a chi porta in studio cose già pronte cui necessita solo di essere fotografate in forma definitiva?
Eraldo Bernocchi: Se mi dà i brividi e mi fa venire voglia di suonare e ripetere una parte all’infinito, vuol dire che funziona. Se è roba che suona ma non mi muove nulla, la butto.
È sempre così, è come vedere fiorire una pianta. Magari registro un riff con Colin e Lorenzo ha un’idea subito dopo, mentre Jacopo mette insieme tutto con uno dei suoi groove. Sicuramente l’approccio è diverso, immediato e diretto. Senza nulla togliere a chi prepara tutto in anticipo, per me questo è il modo migliore di lavorare. Ho sempre fatto così. Se vuoi è un’attitudine più jazz che rock, o anche dub. Ma va bene così. L’importante è che arrivi.
Hai nominato linguaggi differenti tra loro come il rock il jazz e il dub, quanto credi sia importante la capacità di creare metal utilizzando modalità solitamente utilizzate per altri stili nel donare al vostro sound un mood differente e personale?
Eraldo Bernocchi: Non so rispondere in modo razionale. Alla fine noi siamo il risultato delle nostre esperienze, dei nostri percorsi e soprattutto delle nostre scelte, che ci segnano in modo inesorabile. Il mio modo di fare musica è quasi interamente istintivo, non c’è una direzione decisa in precedenza, non so mai cosa accadrà. L’uso di linguaggi così diversi tra loro è naturale, affiorano, vengono a galla mentre si è in studio.
Ci sono band che si applicano alla composizione con una metodologia quasi classica, pianificando, studiando, spostando note per far quadrare armonie e melodie fino a quando non si è raggiunta una presunta perfezione. Noi no. Se vuoi la parte più importante della band da questo punto di vista è Lorenzo, perché i suoi studi classici portano a smussare gli angoli di puro caos che spesso vengono a crearsi.
Alla batteria, questa volta, avete Jacopo Pierazzuoli anche in studio, che finora se non erro vi seguiva solo dal vivo, dobbiamo quindi considerare questa l’attuale formazione degli Obake? Quanto è stata determinante l’esperienza live per entrare in sintonia con lui e che tipo di apporto credete porterà ai nuovi brani?
Eraldo Bernocchi: Sì. Confermo. Jacopo è il batterista di Obake. La formazione definitiva è questa. È un batterista in grado di suonare qualsiasi cosa e ha un groove mostruoso, oltre al fatto che è preciso come pochi, il che ti assicuro è un vantaggio enorme sia live che in studio. Di sicuro adesso c’è un groove maggiore rispetto a prima, meno free e più trascinante. In studio ha portato un sacco di idee, essendo polistrumentista, anche sulle parti di chitarra e basso.
Quindi dobbiamo aspettarci un disco in qualche modo più teso alla forma canzone e diretto?
Eraldo Bernocchi: Forse. Non saprei dirtelo. Sicuramente per come stanno uscendo, i brani sono molto più diretti di prima. Ci sono parti che “aprono” maggiormente e che, cosa rara con Obake, abbiamo deciso di ripetere nei brani. I brani sono certamente più strutturati.
Che tipo di differenze pensate avranno i nuovi pezzi rispetto al passato? In quale direzione è mutato, se lo è, il vostro approccio e quali nuovi ingredienti andranno ad aggiungersi alla vostra paletta? Cosa invece ritroveremo come costante/marchio di fabbrica del suono Obake?
Eraldo Bernocchi: Partiamo dalle costanti. I riff enormi, lenti e in stile schiacciasassi ci sono sempre, così come le chitarre eteree nei momenti più fantasmatici. tra le novità invece c’è la velocità dei brani, questa volta abbiamo anche pezzi più rapidi, dei mid-tempo così come un paio di momenti blast beat che confinano con Discharge e Napalm Death, oppure delle esplosioni punk da moshpit. Abbiamo accentuato maggiormente i contrasti, dove le mie chitarre diventano eteree in questo disco lo sono ancor di più, con momenti quasi ambient blues in un brano. Il marchio di fabbrica Obake c’è sempre, ma ci piace evolverci e esplorare nuove direzioni, altrimenti sai che noia… è uscito quello che è uscito… come sempre.
Hai citato Discharge e Napalm Death, per cui mi offri l’occasione per chiederti se esistano dei nomi capaci di mettere d’accordo gli Obake al di là delle preferenze e del background personale dei singoli.
Eraldo Bernocchi: Mi viene in mente Harold Budd, piace a tutti. Oppure Laswell, Miles Davis. Pink Floyd… non saprei. C’è una visione comune delle cose, ma ad esempio Lorenzo è più classico, Colin meno. Jacopo passa da un ascolto all’altro e io stamattina ascoltavo Lustmord e ora Soulfy… in realtà è un delirante casino.
Quando pensi che potremo ascoltare il risultato finale di queste registrazioni? Avete già una data di uscita per l’album?
Eraldo Bernocchi: Non prima dell’autunno prossimo. Ci sono tempi legati alla release schedule di Rarenoise e alla promozione. Nel frattempo continueremo a suonare in giro.