NORV, E Non Tornammo Mai Più A Rivedere Le Stelle
Lo fate di proposito, vero? Uno cerca disperatamente (non è vero) di ritrovare dopo decenni la via della luce, quando quei due cattivoni dei miei capi-redattori mi segnalano questo disco, chiedendomi se è possibile scrivere due righe e così ributtandomi nella totale oscurità, dove comunque navigo che è un piacere.
Sono i fiorentini Nàresh Ran e Valerio Orlandini a comporre i Norv. Personalmente li ringrazio per avermi dato l’opportunità di acquistarlo nel formato a me più caro, ovverosia l’audiocassetta, ma – se volete – esiste anche una versione limitata in cd. Come sottolinea il titolo, siamo di fronte a poesia decadente e tanta malinconia. È un lavoro trasversale, piacerà sicuramente agli amanti della dark ambient più tenebrosa e della darkwave più autolesionista. Adoro i dischi che parlano, anzi narrano, di luoghi desolati, disperazione dell’anima, solitudine e nero malessere. La preghiera catartica e straziate di “Polaris” è sempre accompagnata da un sottofondo gelido e gotico che ricorda i momenti suicidi di Peter Andersson, quello della versione Svasti-Ayanam. Avvicinandosi a certi rituali Phurpa, “Norte” potrebbe risvegliare il demone più malvagio, quello che nel corso della vita abbiamo sommerso sotto pesanti lacrime di dolore. E quando sembra di aver individuato uno spiraglio, comincia a echeggiare fragorosamente il “Mistral”, che con la sua potenza ti trascina verso il precipizio, facendoti sprofondare ancor di più nell’abisso. Un lavoro davvero niente male, a metà strada fra i lamenti de La Casa Del Dolore dei Nenia e la scenografia da “Via col vento” dei Passo Uno per la sonorizzazione del “Tartüff” di F.W. Murnau.
Piccola battuta: certo che con tutta ‘sta nebbia, il forte vento e gli echi siderali, col cavolo che si riesce a rivedere le stelle. Comunque, gli ospiti impongono di scrivere che è tra i migliori ascolti di questi primi tre mesi del 2015.