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NOISEPICKER, Peace Off

A scorrere la discografia dell’inglese Harry Armstrong c’è di che divertirsi, dai Firebird con Bill Steer dei Carcass ai Lord Of Putrefaction con Justin Oborn (Electric Wizard) e Adam Richards (Ramesses), dai Decomposed agli End Of Level Boss, solo per citare alcuni dei progetti che lo hanno visto coinvolto.

Unite le forze con il batterista Kieran Murphy, oggi Armstrong offre all’ascoltatore un folle mix tra heavy blues e umori noise, sporcizia punk e tanta distorsione, per un risultato finale che ha la capacità di aggiornare al qui e ora le radici più ruvide della musica del Diavolo, con tanto di strizzate d’occhio al gospel e al soul, ma anche al doom più sulfureo. Peace Off è un lavoro a dir poco difficile da inquadrare, soprattutto quando si tratta di individuare un potenziale pubblico di riferimento, troppo sporco e schizofrenico, poco rifinito eppure oltremodo ricco di sfumature, a tratti più vicino a Tom Waits che al metal, eppure dichiaratamente metal per via del riffing e dell’amore per la distorsione, oltre che per l’incedere ossessivo dei brani, a tal punto che un pezzo come “He Knew It Would All End In Tears” riassume in parti uguali entrambi i riferimenti citati e li centrifuga per dar vita a una strana forma di musica della strada “post-tutto”, di folk urbano per valvole saturate e voci soffocate dal rumore bianco. A un certo punto appaiono sullo sfondo persino i Beastie Boys di “Sabotage”, o magari è solo un riflesso incondizionato di fronte a così tanti stimoli eterogenei riportati all’unità dalla scrittura libera da pregiudizi di un musicista che ha saputo attraversare gli anni e i generi senza mai fossilizzarsi o ripetere qualche abusato cliché. Nonostante proprio il blues sembri uno stile legato a dei precisi standard, ciò che propone Armstrong è l’idea di questo linguaggio al netto delle regole, una forma mutante che guarda tanto ai Cramps quanto alla AmRep, alla SST e ai Soundgarden di Ultramega OK, all’anarcho-punk e al doom, senza alcun rispetto per le buone maniere, con feedback in libera uscita e rumori di fondo, grattare del plettro sulle corde e ritmiche indisciplinate. Su tutto la voce sporca, roca, ruvida come la cartavetrata e perfetta per contendersi la scena con la distorsione che regna sovrana. Un album difficile da inquadrare ma originale nel suo andare contro ogni regola, di sicuro capace di spiazzare chi vive di certezze e di solleticare la fantasia di chi vede un filo comune nella carriera del musicista e nelle sue frequentazioni.