Noia, cyborg mc e pisciate a pagamento: vi presentiamo Franco Franco
Sei sempre più deluso e scazzato dalla scena hip-hop italiana e mondiale in generale? Non trovi più niente di nuovo e passi a skippare i nuovi dischi trap, rap e hip hop come fossero album delle Spice Girls? Pronti qua, la sempre vulcanica Bristol ti viene in soccorso: l’esordio della diabolica coppia composta dal genietto Kinlaw e dal diversamente pettinato Franco da Prato, con sangue napoletano, è di quelli che inchiodano alla sedia. A voi intervista e live-report di questo nuovo fenomeno.
Innanzitutto, che ci fai qua a Bristol?
Franco Franco: Sono venuto per imparare l’inglese e studiare, diciamo che è stata una decisione presa un po’ a caso ma di cui non mi pento.
Perchè rappi in italiano anche se parli perfettamente in inglese? Come sei riuscito a fare un disco in Inghilterra rappando in italiano?
Eh, bella domanda! Facevo freestyle a caso con dei miei amici italiani qua in giro per passare serate easy spendendo pochi soldi, e quello è stato un po’ un modo di continuare con il rap in generale, cosa che avevo mollato tra le priorità che avevo. Poi nel frattempo facevo del volontariato da Noods Radio e ho avuto modo di conoscere un po’ di gente tra cui Kinlaw e Miles di Bokeh Version, una cosa tira l’altra e cominciai a fare delle apparizioni sullo show di Ceramics, di cui Kinlaw fa parte, e poi è partita la bazza di fare dei pezzi insieme, e da lì si è sviluppata la faccenda. Direi che è stato più un discorso di coincidenze che una forzatura, venire qui per fare un disco rap in italiano non era nei piani, però bomba che s’è fatto.
Quindi ti stai laureando in industria musicale per diventare un professionista del settore, e anche nella gestione di realtà locali importantissime tipo Noods Radio?
Sì, sto finendo il corso ormai, diciamo che la scelta di fare una scuola relativa alla musica è stata prima di tutto un modo per uscire dall’Italia, e allo stesso tempo un modo per essere in contatto a tempo pieno (quasi) in ciò che riguarda robe musicali. Beccai Leon e Jack di Noods a caso e da lì cominciai a dar loro una mano con vari lavoretti di admin per il profilo Mixcloud. Sono stato con loro per due anni circa e la faccenda si è sviluppata con l’apertura dello studio al Surrey Vaults e dopo in Stokes Croft. Quindi da lì in poi passavo un tot di tempo in studio ad assistere i vari spettacoli: prendere le tracklist, controllare i livelli…
Ecco, parlaci di Noods Radio. È un po’ la NTS di Londra ma in versione bristoliana, giusto?
NTS è una delle radio più conosciute ma non so il ruolo che abbia a Londra. A parere mio, Noods è una piattaforma fondamentale per chi vive qui. Include un sacco di persone che fanno robe diverse dandole carta bianca. Insieme ad altre radio qui a Bristol costituisce un output non filtrato di quello che succede in città in una cerchia di persone piuttosto ampia, una fotografia in tempo reale. Gli show aumentano e coprono diversi generi musicali e col tempo stanno aumentando/rafforzando connessioni col resto del mondo, anche in Italia.
Questo “Mezzi Umani Mezze Macchine” è il tuo disco d’esordio, e lo fai con Kinlaw alla console e come membro del nuovissimo Avon Terror Corps. Perché?
Come dicevo prima, è stato un caso, dopo due/tre tracce registrate la gente si è presa bene e abbiamo deciso di mettere su il disco. Non penso ci sia una ragione, semplicemente le tracce ci sono piaciute parecchio dall’inizio, e il feedback è stato positivo. A livello di influenze che abbiamo sono diverse ma neanche troppo, siamo accomunati dalla roba storta, potente, bassi grassi… Il fatto è che appunto Kinlaw ha parecchia esperienza alle macchine e fa quello che vuole, io lo seguo e mi piglio bene. Non c’è una singola traccia che non mi sia piaciuta a livello strumentale, me ne mandava una dietro l’altra ed erano tutte delle craniate. Diciamo che è cliccata la faccenda nel modo giusto, l’album è uscito in un po’ di tempo ma era già tutto finito in un paio di mesi in mezzo tra lavoro e altre robe d’estate.
Nei tuoi testi fai l’antidivo per eccellenza, proprio il contrario dei rapper italiani contemporanei…
Beh, penso di fare rap per fare rap, scrivo di quello che mi succede che non è nulla di allucinante o altro. Ovviamente non posso parlare di robe che non vivo/ho vissuto o che non penso sia in grado di rappresentare. Nel disco c’è un po’ di tutto, un paio di tracce sono freestyle e non significano nulla, ci piacevano e basta. Per il resto sono storie di noia, apatia, nervosismo, cyborg mc’s, Bristol e pisciate a pagamento.
Stai preparando un tour o è troppo presto per ora?
Suoniamo principalmente qui a Bristol per ora e ci muoveremo un po in giro con ATC, cioè Avon Terror Corps che è sia la label che la crew. Poi vediamo come va, da cosa nasce cosa!
Kinlaw & Franco Franco, 26/4/2019
Hy Brasil Music Club – The Bristol Germ, Bristol.
The Bristol Germ è un’importante fanzine bristoliana con naso da tartufi nello scoprire e proporre nuovi talenti musicali locali, curata da Alastair Shuttleworth, che è pure il frontman dei tosti LICE, e per il lancio del terzo numero della fanzine si affida all’electropop/teatrino dei Lynks Afrikka e della funambolica coppia italo-bristoliana Kinlaw – Franco Franco. La dirompente energia dell’italiano, che si chiama così perché sin dai suoi primi giorni inglesi gli amici lo hanno sempre chiamato hi frenco frenco!, fa impazzire le prime file del pubblico dove si sgomita per stare pelle a pelle con l’acrobata della parola. La setlist è pressoché identica a quella del vinile: la intro richiama l’urlo alla savana industrializzata dell’apertura di Returnal di Oneohtrix Point Never, Franco Franco comincia a muoversi per sciogliersi e trovare il giusto feeling con pedana e pubblico, ci siamo quasi: felpa nera, in testa sempre il berretto da ciclista con luce lampeggiante incorporata come a dire occhio, sono acceso, il motore è caldo, sto per partire, allacciate le cinture. Kinlaw è una macchina alle macchine, in pieno controllo tecnico, una meraviglia. Siamo già al terzo/quarto pezzo, si ondeggia forte là davanti, io me ne sto nella parte alta della platea e mi godo lo spettacolo, quando ecco che dai tavoli vicino allo stage arriva un ragazzone di colore, sui trenta-trentacinque anni, elegantissimo, con passo da gangsta non molto amichevole, mi squadra un attimo come a dire che cazzo ti muovi in quel modo? Sarà mica hip-hop questo? Poggia la sua giacca sulla prima sedia libera che trova, si arrotola le maniche della camicia bianca e dopo aver guardato perplesso Franco Franco dimenarsi ormai in maglietta, si incammina a passo lento ma deciso verso il centro della tempesta. Arriva a contatto con le prime file e resta immobile come una statua a fissare Franco Franco. È una sfida, è chiaramente una sfida. Ahia, qua si mette male penso, qua scatta un rissone. Non pare un tipo ubriaco o alterato però, evidentemente non gradisce il fatto che un bianco faccia un genere “black”, e pure non in inglese… Dopo mezza track il duro inizia ad ammorbidirsi, il suo corpo non è più una statua. Passano altri due pezzi e il tipo si accorge di essere quello che si sbatte di più. Sorpreso da se stesso, ritorna a prendersi la giacca sulla sedia e con passo gioioso torna al suo tavolo con uno sguardo tipo cazzo mi hai fregato, caro freestyler bianco… non me l’aspettavo!.
KINLAW E FRANCO FRANCO, Mezzi Umani Mezze Macchine
“Cuore Molle Palle Mosce” ha lasciato il segno anche nei più oltranzisti. È il pezzo più classicamente hip-hop del disco eppure non sembra nulla di scontato, né sa di vecchiume. Fa anche da catapulta per quello successivo, “Cyborg MC”, la traccia preferita in assoluto dallo stesso Franco Franco, spammata in maniera sagace in giro per la città tramite piccoli adesivi quadrati con QR-code incluso per scaricarsela gratis nello smartphone questa come preview del disco (pure la sua versione instrumental). Kinlaw non molla l’osso per un momento e bastona duro coi beat e con i bassi, “No Chill” e “Reality Check” raccontano in maniera onesta e cruda le rotture di coglioni quotidiane del musicista per passione ma studente e lavoratore part-time per professione. Non ci sono minchiate o fanfaronate nelle parole di Franco Franco, i vestiti di marca o i plot da gangsta credibili come una promessa elettorale, quelli meglio lasciarli a chi non avrebbe altro modo per farsi notare, finché la miccia corta non si accorcerà sempre di più. “Expo” chiude nella stessa maniera in cui è iniziato questo viaggio nel purgatorio del terzo millennio, con un urlo reiterato che sa sia di scarico nervoso di fine tragitto, sia di sentore per l’imminente partenza verso chissà dove e perché, in un turbinio di suoni distorti che prendono le budella e le strizzano per bene. Ma pensa te… un italiano pelato che dà spettacolo e sposta i parametri del freestyle proprio a casa degli anglosassoni. Italians do it better, lo dicono anche le mie colleghe…