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NOÉMI BÜCHI, Does It Still Matter

Cosa ci lega ancora alla materia? Come ci rapportiamo a un intorno sempre meno fisico? E poi, ne vale ancora la pena?

La nuova fatica di Noémi Büchi parte da una matassa di complessi quesiti esistenziali, ma prima di tutto prende vita da un gioco di parole. “Matter” come sostanza, unità dell’esistente, composizione del quotidiano. Ma anche “Matter” come importanza, senso recondito. Concetti che incrociano per la terza volta la parabola artistica della Büchi dopo Matière (ep del 2020) e Matter del 2022, lp interessantissimo passato forse troppo in sordina. Quindi un vero fil rouge di una ricerca artistica fortemente caratterizzata dalla chimera del contatto, dell’Altro. Una fisicità che trova riscontro in una copertina che pare quasi bloccare il volto dell’artista in uno spaziotempo indefinito, una statua tra analogico e digitale. Due estremi che convivono e che si sviluppano in paradigmi sonori complessi, per un disco veramente impegnativo, sia per contenuti che per messa a terra degli stessi. Le composizioni esistono solamente nell’istante, irrompendo con la loro fisicità irregolare per poi sfuggire al primo tentativo di carpirle. Il reame astratto delle idee trova risonanza nel grumo denso degli oggetti sonori prodotti dell’artista svizzera, che gioca sapientemente a smontare e rimontare la forma delle sue composizioni arrivando a decostruirne atomo per atomo la struttura portante, in una continua riassegnazione dei connotati. Le armonizzazioni sbilenche della pletora di synth sotto il dominio di Noemi tessono senza sosta queste fantasie, rendendo l’ascolto un unicum mastodontico che mette quasi in soggezione. Dopo un inizio meditativo, giocato tra aperture sinuose ed echi in reverse, tocca a “Window Display Of The Year” aggiornare il tono dell’insieme con una pazza commistione (già sentita e amata nel sopra citato Matter) tra fendenti elettronici e strutture barocche narrate da un clavicembalo distopico, quasi a voler capovolgere anche la consecutio temporum. Passato, presente, futuro, massa. Ogni nota suona metallica e premonitrice, con le botte di cassa che puntellano l’esplorazione di Noémi dell’avanguardia elettronica. Anche “What If It Doesn’t Matter?” continua a illuderci con i suoi classicismi da conservatorio scritti in codice binario, mentre tocca a  “Biocide” e “Sèpulcrale” chiudere tutto su una nota di cupo quanto glorioso pessimismo, un finale in diminuendo che instilla nuovi dubbi e rievoca vecchie paure, con il synth astrale dell’ultima traccia a concludere un’esplorazione sensoriale che non risponde direttamente ai quesiti che pone, ma che apre sicuramente uno squarcio in quella che è la filosofia dei corpi e del loro ingombrante peso tra materiale e immateriale.