NINA HARRIES, S/t
Risale a quel mondo pre-pandemia che conoscevamo ancora nel 2019, questo lavoro della contrabbassista e compositrice inglese, Nina Harries. Confesso di averla scoperta solo recentemente, grazie a questa incredibile performance per la piattaforma “Discover Double Bass”.
Il carisma è abbondante, il controllo e l’eleganza pure. Non eccede mai in virtuosismi, nessun assolo: canzoni vere e proprie, melodie sicure, suoni asciutti, nessun artificio se non qualche spruzzata di post produzione qua e là. Evidentemente questo debutto è un disco costruito in studio, con qualche sovraincisione, ma è chiaro che Harries poi dal vivo non ha alcuna difficoltà a reggere sulle sue spalle l’intera anima delle canzoni. Sul disco i contributi dei soci Joel Harries e Peter Miles sono precisi ed oculati, niente più del necessario.
“Heavy Doubt” è una domanda che potremmo ascoltare all’infinito, “Lose Yourself” un messaggio chiaro e profondo, nudo e crudo. “Icarus” è esattamente quello che ci si può aspettare da questo titolo: una dolce attesa, spazi, silenzi, pause, poche note a sostenere un canto accorato e nitido verso una crescita lenta e deflagrante nel suo finale così esplosivo e inaspettato, nonostante sia dichiarato come ideale dall’inizio della canzone. “Will; I’m Not Peter” riconferma la capacità di costruire una canzone semplice e modificarne la linearità, attorcigliandola in grovigli sonori, strisciate e strappi per poi tornare ai suoni organici di piano e contrabbasso. “O’ Loathsome Day” è un bicchiere d’acqua del rubinetto, leggera, buona e amara nelle parole finali: “you’ll die young”. “Pendle Hill” si appoggia su poche note di contrabbasso: l’approccio moderno a questo strumento, così a fuoco ed essenziale, ne amplifica la capacità di trasmettere emozioni; Nina ne sottolinea al pianoforte la qualità. “One Hard Task” e “Int;;Ext;;Int;;Ext;;/Butterfly” concludono egregiamente un disco maturo e sensibile, sanguigno, asciutto eppure vibrante. Abbiamo grandi aspettative per il prossimo capitolo.