NICOLA MANZAN, La Città Del Disordine
Primo album a suo nome – e primo album da solista su commissione – per Nicola Manzan, da molti anni impavido terrorista noise con il progetto Bologna Violenta e ormai entrato in pianta stabile nella formazione dei Ronin, oltre che uno dei principali multistrumentisti italiani in attività, in prevalenza al violino e alla chitarra (Torso Virile Colossale, e in passato con Baustelle, Teatro Degli Orrori e molti altri). La Città Del Disordine, sottotitolato “Storie di vita dal Manicomio San Lazzaro”, uscito per Kizmaiaz Ed. Musicali, Overdrive e Dischi Bervisti, è stato pensato per valorizzare gli ambiti del Museo di Storia della Psichiatria, con le testimonianze di “diversità” custodite nei suoi archivi, grazie alla promozione dei Musei Civici del Comune di Reggio Emilia.
Fornita la cornice, cosa ha fatto di preciso il musicista veneto? Già abituato a immaginare colonne sonore per turning point delle cronache nostrane, reali (Uno Bianca) o immaginarie (Bancarotta Morale), stavolta Manzan ha trasposto in composizioni strumentali le cartelle cliniche dei degenti dell’ex Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, quelli internati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Manzan parla di un manicomio all’avanguardia per l’epoca, una vera e propria clinica delle malattie mentali diretta da Augusto Tamburini – amico di Lombroso, richiamato dalle insegne visibili nello scatto di copertina – nel quantomeno apprezzabile tentativo di anticipare la moderna psichiatria, evolutasi nel corso del tempo, e chiusa nel 1978 in seguito alla legge 180. Manzan ha selezionato otto di queste cartelle cliniche, mix di considerazioni mediche e spaccati di esistenze non di rado relegate per comodità ai margini della società: Mi sono quindi riproposto di comporre musiche che sottolineassero il carattere, la personalità e i diversi stati d’animo dei vari soggetti, tralasciando gli aspetti più orrifici della vita ospedaliera e delle cure a cui erano sottoposti i ricoverati, ma cercando invece di raccontare il loro aspetto più umano, spesso intriso di tristezza, e la condizione mentale in cui si trovavano.
Tra classicità e sperimentazione – che sono in fondo gli ambiti complementari entro i quali Nicola si muove da sempre – la musica contemporanea dei brani poggia sull’utilizzo di piano elettrico, organo, archi e sintetizzatori, suonati in totale autonomia. La galleria inizia con “Isabella Z. M.”, convinta di essere sposata con un medico, oggetto della sua ossessione amorosa: la partitura accompagna gli alti e bassi della girandola vaneggiante, citando addirittura il motivo della marcia nuziale. Si prosegue muovendosi dalle allucinazioni dell’allora minorenne “Adele B.”, scambiate per apparizioni della Madonna e rese con mood fiabesco, agli scoppi di violenza persino auto-inflitta del mendicante “Vincenzo O.”, perfettamente riportati dal passo irregolare delle note; dai deliri mistici dell’avido commerciante di cappelli “Arcangelo L.”, enfatizzati, alla paranoia persecutiva di “Carolina D.”, puntellata dal pathos, percepito e dunque restituito. Ci sono poi “Cristina M.”, che ha perso un figlio e giulivamente “Tiene al collo una grossa corona e sul capo dei fiori”, e “Concetta G”, che soffre di crisi epilettiche come scariche di rumore, laddove i suoni si fanno prodigiosamente pura espressione dei percorsi cerebrali, e infine “Arturo A.”, che si estromette dal mondo in seguito all’umiliazione di uno scherzo crudele. Alcuni di essi usciranno dalle porte della loro prigione di carne e cura, altri moriranno poco dopo o direttamente al suo interno.
La Città del Disordine è una ricerca, concettualmente splendida, alla riscoperta delle voci che hanno in qualche modo subito la storia. Non era da tutti addentrarvisi, perché per farlo, nel tratteggio efficace e rispettoso di queste emblematiche, tumultuose vicende personali, emerge una grande lucidità, ma anche quel pizzico di sana follia necessario per innescare l’empatia. Manzan si è immerso nella caotica babele di lingue dei suoi abitanti come un indagatore illuminato del disagio.