NICK CAVE AND THE BAD SEEDS, 20/10/2024

Milano, Filaforum.

Nick Cave, quindici anni dopo l’ultima volta. All’aperitivo e a cena a Milanofiori, i fan caveiani si riconoscono dal look, per lo più in nero, non proprio a loro agio tra negozi e boutique. Entriamo in un Palaforum già pieno per i primi venti metri e aspettiamo l’arrivo dei Murder Capital (dobbiamo ringraziare il loro manager Bertie per l’unica dritta attendibile sull’inizio delle danze). Dopo un paio di pezzi i dublinesi mostrano subito di che pasta sono fatti. Sembrano giovanissimi (probabilmente sono io che sto invecchiando) e sono sanguigni, capaci di coinvolgerci con un rock piuttosto oscuro, sostenuto da una rete ritmica impeccabile e dalla voce e dal carisma del frontman (un bizzarro incrocio visivo tra Morrissey, Jude Law e Liam Howlett) . Ammetto di non aver seguito molto la produzione musicale irlandese di questi anni, ma i Murder Capital risvegliano ottime sensazioni e si meritano il posto assegnato, con una platea che ondeggia partecipe durante il live, dove annunciano anche un inedito, e che veleggia su livelli veramente ottimi. Lasciano spazio anche a cavalcate strumentali che attestano la loro intensità e tecnica, rivelandosi una gran bella sorpresa. Con un brano toccante, a lungo giocato solo su voce e chitarra, sembrano aver sparato la loro cartuccia più emo, ma continuano con altri pezzi che fanno saltare gli affezionati e incuriosiscono i nuovi ascoltatori. Certo, la location del Forum non è l’ideale per loro, ma non sembrano intimoriti, risentendone solo a livello di suono, che su un palco più adatto potrebbe risultare davvero esplosivo.

Nel frattempo, il Forum si è riempito e la sana distanza sociale guadagnata negli ultimi anni è scomparsa, per una eterna battaglia sui 30 cm quadrati che mette a dura prova le pazienze. Ma quando i Bad Seeds salgono sul palco non ce n’è per nessuno. Parte “Amazed Of Love”, Nick è in gran forma e le quattro coriste aggiungono un brio gospel perfettamente bilanciato da Warren Ellis, George Vjestica, Colin Greenwood, Carly Paradise, Jim Sclavunos e Larry Mullins. Annuncia “The Wild God” sedendosi al pianoforte mentre Warren prende a calci l’asta di un microfono e si alza in piedi. “Son Of The Lake” è un palcoscenico per un attore consumato che comunica con la platea, alzando le mani per un “nevermind”. Parla dei figli, di un brano scritto 22 anni fa osservandoli in un’area giochi, riflettendo sul mondo e sull’infanzia. È “O Children”: Warren svisa al violino e l’atmosfera è intensa, carica e reale. Brandendo dei fogli, Cave ci racconta la storia di una ragazza di nome Polly che viveva in una piccola stanza giù a Jubilee Street, una storia complessa ma intima che si trasforma in una bolgia stupefacente. Continua con altre ragazze, è nella camera 29, quella di “Wings Of Desire”, urla e si butta fra il pubblico. Canta, balla da Dio e fa a meno del microfono, invasato e posseduto.

“Long Dark Night” ha la statura del classico e ricopre tutto con solenne oscurità e lirismo, Nick sembra sul punto di commuoversi e così il pubblico, partecipe e atterrito in ugual misura. Con “Cinnamon Horses” si ha un’altra dimostrazione della grandezza dell’ultimo album dei Bad Seeds, che dal vivo diventa un gioiello che scuote i corpi di chi partecipa al rito. “Tupelo” si dirige verso un Forum che batte le mani e si dimena come una sola bestia, il Re Inchiostro ringhia e ulula mente gli uccelli non possono volare né i pesci nuotare. Poi un brano retto solo dal suono della tastierina di Ellis per la prima parte, quando il coro arriva ad accompagnare il frontman. Esplode solo nella seconda parte “Conversion”, riempiendo gli spazi e rompendo gli argini di una serata che ormai vola altissima. Cave annuncia Warren Ellis al canto in “Bright Horses” mentre lascia il pianoforte alla tastierista, per poi tenersi in un intermezzo un brano sui treni che non riconosco e annunciare poi “Joy”, sempre dall’ultimo album, con la voce di Warren che pare quella di un angelo. “I Need You” è solo per piano e voce, più volte turbata dagli applausi.

Dopo una “Carnage” dimenticabile, “Final Rescue Attempt” libera tutte le corde, che si rincorrono infuocate, per poi tornare nelle paludi con una “Red Right Hand” assolutamente deliziosa nel suo minimalismo fino a quando non esplode. Poi un regalo con “The Mercy Seat” dopo quasi due ore di spettacolo, le chitarre rimbombano e il coro manda in orbita la preghiera. “White Elephant” è uno sconquasso di percussioni e boati, il coro si prende la scena e Jim Sclavunos fa volare i martelli a percuotere.

Stop.

You’re beautiful.

Escono portando “O Wow, O Wow, How Wonderful She Is” come primo bis, salutando Anita Lane in una toccante dedica per una persona speciale che ci ha lasciati tre anni fa. Poi “Papa Won’t Leave You, Henry”, con un call and response col pubblico che trasforma il tutto in un mostro rumoroso, con Jim Sclavunos e Larry Mullins che si scambiano batteria e percussioni. Poi Warren Ellis sega letteralmente con il violino “The Weeping Song”, mentre Nick obbliga il pubblico ad esplorare la resistenza delle proprie membra in un battimano al cardiopalma. Rimasto solo al pianoforte mentre la band ha abbandonato il palco fra gli applausi, attacca “Into My Arms”, cantata anche dal pubblico, le lacrime agli occhi di molti così come lucidi sono quelli di un artista che sa commuovere e commuoversi.

Il mio terzo concerto dei Bad Seeds: credo me lo ricorderò per molto tempo. Questa sera è stata la dimostrazione che un album può fiorire dal vivo in maniera straordinaria anche se nello stereo non è (sembrato) entusiasmante. Certo, ci vogliono tecnica e cuore per farlo. I Bad Seeds e King Ink lo sanno fare.