NIBIRU, Salbrox
Sciamanici, psichedelici, spirituali, selvaggi, oscuri: i Nibiru si possono definire in moltissimi modi. Difficilmente però si riuscirà a catalogare il flusso sonoro che dalle loro anime dannate fuoriesce come primigenia ode al caos. La musica aliena che sono in grado di concepire, oltre a destabilizzare, disegna un preciso e ben definito percorso artistico. Percorso che nasce quasi dieci anni fa con il debutto Caosgon, album, insieme al successivo Netrayoni, che ha permesso al trio italiano di manipolare menti con un messaggio sonoro che rappresenta quanto più di ostico ma efficace possa esserci in ambito metal.
Il sulfureo Salbrox, quinto capitolo della loro storia, il primo per l’inglese Ritual Productions, oltre a essere il più difficile della loro discografia, è anche il più maturo e ricco di sfumature. Basato sull’alchemico contrasto del “solve et coagula” tra spirito e corpo, Salbrox è un insieme di fughe noise psichedeliche con ai lati l’oppressione dello sludge più melmoso e la pazzia dell’industrial meno convenzionale. Quanto di più estremo e tetro ci possa essere in musica. Non mancano nemmeno digressioni sciamaniche verso il dark sound italiano (Jacula). Testimonianza di tutta questa follia è “Ehnb”, messa in apertura: una declamazione fuoriesce dalla bocca e dall’anima di Ardat come un poema maledetto, un’interpretazione, la sua, che mette i brividi, che impaurisce, che pietrifica il cuore e scioglie la psiche tanto è la carica emotiva che viene impiegata; il testo in italiano (qui, come nel precedente Qaal Babalon, oltre all’enochiano, si usa anche la lingua madre) fa la parte mancante del lavoro e porta l’ascoltatore sull’orlo della follia, mentre al di sotto ambient disturbante e ed elettronica disegnano atmosfere glaciali che si contrappongono al salmodiare viscerale del cantante e chitarrista dei Nibiru.
A sorprendere, almeno rispetto agli altri album della band, è l’uso metodico e frequente dell’elettronica e di certi inserti industrial, che prima potevano essere solo un piccolo orpello stilistico, mentre qui sono caratteristiche portanti delle canzoni, armi per una guerra sonica aggiunte a un arsenale già di per sé debordante. Ne è un altro esempio “Bitom”, un esperimento elettro-acustico-rumoristico con un piano malinconico e piccoli rumori che mettono i brividi. I Nenia de La Casa Del Dolore sono dietro l’angolo, ma i Nibiru riescono a elevare la disperazione ed il nichilismo di quel disco con altri mezzi: deflagrazioni ritmiche e frequenze impazzite, ma anche minimali ed angoscianti destrutturazioni elettroniche, tutte cariche di una negatività infinita.
L’evoluzione del suono dei Nibiru, anche grazie all’apporto disturbante della danza ritmica tribale di L.C. Chertan e delle bordate pulsanti di Ri Salma, permette di evocare spiriti ancestrali, sopiti da troppo tempo nell’animo umano e ora pronti a destarsi. Salbrox si candida a essere uno dei dischi più perturbanti e originali del panorama estremo attuale. Solo demoni e alieni potrebbero fare meglio.