NEUROSIS, Fires Within Fires

I Neurosis hanno raggiunto la soglia dei trent’anni di carriera, hanno saputo lasciare un’impronta indelebile nel cuore di ascoltatori, musicisti e appassionati inventandosi uno stile unico, una cifra immediatamente riconoscibile e tra le più copiate nel giro post-metal e post-hardcore, hanno rimescolato il modo di accostare linguaggi differenti e accolto input eterogenei, in breve sono tra le band più influenti e ammirate attualmente in circolazione. Queste nozioni chi ci legge dovrebbe ormai averle metabolizzate e considerarle come la base della sua cultura musicale, ciò che invece fa piacere notare oggi è come la formazione non tenti di apparire giovane o di riproporsi in un ruolo che oggettivamente stonerebbe con il suo status e tutto quanto detto finora come band, con la Neurot o con i molteplici progetti paralleli/solisti che hanno contrassegnato la loro carriera.

I Neurosis hanno tramutato la propria esperienza e la propria maturità in una componente fondante del loro nuovo percorso, un cammino partito dopo la creazione di album ormai classici come A Sun That Never Sets e The Eye Of Every Storm e sviluppato attraverso i successivi Given To The Rising, Honor Found In Decay e l’ultimo Fires Within Fires, che a dirla tutta appare come il più a fuoco e il più robusto dei tre, almeno in termini di songwriting. In quest’ottica si deve guardare al nuovo capitolo come l’ulteriore evoluzione di una fase che prende le mosse da una consapevolezza rinnovata dei propri limiti, della stanchezza e del peso della propria esperienza e la rende linfa vitale di questi brani dolenti ma non domi, in cui si avverte forte la presenza dei lavori solisti di Kelly e Von Till.

Il disco, conciso e senza lungaggini di sorta, riserva momenti in cui la band tira fuori gli artigli e quando serve ruggisce ancora come un tempo, ma nel complesso presenta un mood serale, ricco di ombre e bagliori di falò in cui le fiamme covano sotto la cenere per poi riprendere forza e alzare nuovamente la testa. È una versione del loro stile unico di fronte alla quale riesce meno facile esaltarsi al primo ascolto e che sprigiona il suo fascino come una bottiglia invecchiata, in cui il gusto profondo e rotondo resta a lungo in bocca e sa farsi apprezzare con più forza sulla lunga distanza. I paladini del post-metal hanno smesso di stupire o giocarsi il colpo ad effetto, piuttosto hanno saputo tramutare il proprio bagaglio in emozioni e pathos con cui tratteggiare un nuovo capitolo di quella che resta una carriera senza rivali quanto a peso e longevità, il tutto al netto di fotocopie degli album precedenti o dello sforzo peri accontentare il pubblico nella finzione di una gioventù e di una freschezza che per forza di cose non potrà più tornare.

Non ci troviamo più di fronte al re in armatura che guida l’esercito, ma ad un sovrano che distilla parole sagge dal suo trono, forte della sua autorevolezza e della sua visione disincantata e meno impulsiva. Quindi, per rispondere a chi se lo stesse chiedendo, non siamo allo stanco tentativo di mantenere in vita qualcosa che ormai non ha più ragion d’essere, ma alla capacità di qualcuno di accettare il proprio ruolo odierno e di fare il passo secondo il proprio attuale momento, proprio come ogni creatura che segue un percorso e ne accetta le differenti fasi, senza imbrogliare sull’età e senza far finta di avere ancora la forza dei vent’anni. Se questo è un problema, lo è di sicuro più per chi ascolta che non per chi ha ancora una volta dimostrato di meritarsi la propria posizione e il proprio ruolo. Sinceramente non ci sentiamo ancora di poter fare a meno di loro, anche se la novità e l’evoluzione risiedono magari oggi in qualche nuovo nome e lo stupore ha lasciato spazio a nuove emozioni. Oggi come ieri, lunga vita al re.

Tracklist

01. Bending Light
02. A Shadow Memory
03. Fire Is The End Lesson
04. Broken Ground
05. Reach