Nate Hall (USX, Uktena): play every show like it is your last
Quando, a inizio febbraio 2020, ho sentito che gli USX (a.k.a. U.S. Christmas), guidati dal prolifico songwriter e polistrumentista Nate Hall, stavano per fare il loro primo live in quasi cinque anni, non ho potuto fare a meno di chiedermi se questo fosse l’inizio di un atteso ritorno di una delle band underground più interessanti dei primi 2000. Queste pagine avevano già coperto il lavoro di Nate in passato, però non c’è mai stata l’opportunità di parlarne direttamente con lui. Fino ad oggi.
Ciao Nate. Cosa significano questi live recenti per gli USX e cosa devono aspettarsi i fan? Ci saranno nuovi show? Un tour? Magari (per noi) in Europa? O anche nuovo materiale? Cosa vi ha dato la motivazione per tornare a suonare dal vivo come band?
Nate Hall: Significa che la band è di nuovo attiva. Al momento siamo un trio, ma Chad, uno dei membri originali, è a bordo per i prossimi show e le prossime registrazioni. Lui però vive in California, letteralmente all’altro lato dell’America. In questo momento non abbiamo piani per tour o registrazioni, anche se abbiamo discusso di qualcosa. Preferirei girare l’Europa o l’Australia, perché l’America è piuttosto difficile per molte ragioni. I nuovi ragazzi sono Tony Plichta alla batteria e Graham Scala al basso. Anche Chad Davis ne farà parte. La porta comunque non è chiusa per nessuno. Stiamo solo facendo la nostra cosa al momento, finché possiamo. Non so bene che faremo poi. Non ho mai pianificato nulla nella mia vita.
Ricordi il tuo primo concerto con gli USX? Dove lo faceste? Come fu organizzato? Come reagì il pubblico? Quale è il concerto più memorabile che hai fatto con gli USX e perché?
Non ricordo precisamente il primo concerto, ma i primissimi furono a Marion (North Carolina), dove la band ha iniziato. Fummo in grado di allestire il concerto e suonare in un teatro locale molto figo, come se fossimo a prove. Fu divertente. Potemmo essere rumorosi, usare un sacco di amplificatori, passare i limiti. Per quanto riguarda gli show memorabili, ce ne sono stati alcuni. I grossi, quelli in cui abbiamo aperto per Neurosis, Mastodon, band grandi che ci hanno dato l’opportunità di fare un bel passo in avanti. Un passo drastico. Incasinò qualcuno di noi… la pressione. Io ho sempre visto quegli show come qualcosa che era previsto facessimo, il nostro destino o qualcosa di simile, perciò non ero nervoso, solo determinato.
Ho letto da qualche parte che il nome U.S. Christmas arriva dal nome di un cacciatore di bufali del Diciannovesimo Secolo. Bob Dylan lo nomina in un film, “Pat Garrett and Billy the Kid”. Consideri Dylan un’ispirazione? Quali sono gli artisti, del passato e del presente, che ti hanno ispirato?
Sì, l’origine del nome è questa, e sono grandissimo fan di Dylan. Le influenze sulla band sono difficili da determinare, posso quindi parlare solo per me stesso, perché sono diverse per tutti i coinvolti. Neil Young e i Crazy Horse, Pink Floyd, Caustic Resin, Soundgarden, Nirvana, Screaming Trees, queste sono tutte le band che volevo davvero emulare.
Molte persone sanno che ami e collezioni le chitarre, ne hai oltre 100, vero? Quali sono i tuoi pezzi preferiti, quelli dai quali non ti separeresti mai? E quali sono le loro storie? C’è uno strumento che non suoni ma che vorresti imparare a suonare?
Ho moltissime chitarre, ne ho comprate molte costantemente negli ultimi quasi 30 anni in cui suono. Ho un rapporto molto particolare con tutte. Non ho problemi nel consumare o usare ciascuna di esse, ma odio l’idea di distruggerne qualcuna. Ho una Les Paul Custom dell’81 che è stata la mia prima chitarra davvero bella . Ho venduto una moto per comprarla. Sta su tutte le prime cose degli USX fino a Eat The Low Dogs. Pesa quasi 7 chili, quindi ho dovuto farmi fare una cintura pesante per tenerla su senza farmi fuori un braccio. Ho molte vecchie Stratocaster imbastardite, e un sacco di altra roba strana. Mi piacciono le chitarre che hanno un suono differente. Trovo sempre un modo di usarle e sovrapporle. Oppure le può suonare uno degli altri ragazzi. I produttori di Monson Guitars sono stati molto buoni con me negli ultimi dieci anni, adoro quelle cose! Quindi ne uso quasi sempre una dal vivo. Black 35 ha creato una bella Stratocaster nello stile di Hendrix che uso. Ho anche alcune BC Rich modificate con pick-up attivi e sustainer.
Mi piace trovare nuovi suoni da sovrapporre. Ho una 12 corde elettrica che sarà usata per creare texture per qualunque cosa facciamo in futuro. Ho un mandolino elettrico Warren Ellis di Eastwood guitars che era nell’intro del disco di Uktena e sarà anche su cose future. La stratificazione dei suoni è sempre stata una parte dei dischi USX. Più ascolti, più ne sentirai.
Sei stato molto prolifico nel corso della tua carriera, sia nell’avviare tante band, sia nel collaborare con altre band e artisti. Cosa alimenta il tuo continuo bisogno di creare?Hai mai avuto un blocco dello scrittore? Se sì, come l’hai superato? Hai una specie di routine o dei rituali quando componi o è sempre qualcosa di spontaneo?
Grazie, è vero, ho creato molto, però non tanto negli ultimi anni. L’ultima cosa che ho pubblicato in formato fisico è stata un incubo in ogni senso della parola. È un gran disco, e se non fosse stato tutto così infelice per me, probabilmente mi piacerebbe, ma non è così. Non mi aspetto che nessuno si dispiaccia per me, ma dopo una dozzina di calci nelle palle le motivazioni non sono più le stesse di una volta. Non vedo più il senso. Detto questo, non ho controllo sulla creatività. Succede quando succede. L’unica cosa che voglio sottolineare per tutti è che gli artisti sono rari e sono importanti per il mondo. Non baciate loro il culo, però non fotteteli se la musica vi sta a cuore almeno un po’.
Tra le tue collaborazioni, quali sono quelle che ricordi di più? Con quale artista in attività oggi ti piacerebbe lavorare? E con chi, invece, se potessi tornare indietro nel tempo?
La mia preferita è quella con Dorthia Cottrell. Sono anni che parliamo di fare (di nuovo) qualcosa assieme. Spero accada. Vorrei anche lavorare di nuovo con Brett Netson e Stevie Floyd. Due grandi. E Mike Scheidt.
Hai anche fatto parte di due tributi memorabili, a Hawkwind e a Townes Van Zandt, ne faresti altri? Se sì, a quale artista?
Mi piacerebbe fare un disco di cover di Neil Young/Crazy Horse. Assolutamente. L’ho sempre desiderato.
Parliamo di Uktena, la tua band più recente. “Uktena” è anche il titolo di una delle canzoni del quarto lp degli USX, Eat The Low Dogs. Com’è nata la band e cosa la distingue dal resto del tuo lavoro? È ispirato alle tradizioni e alla cultura delle popolazioni indigene americane: puoi raccontarci qualcosa di più sull’idea che ci sta dietro e sul suo messaggio?
Uktena è iniziato come qualcosa di più black metal/sludge, ma è finito in una direzione psichedelica, credomolto bella e positiva. È ovviamente radicato nelle idee, nelle storie e nei valori dei nativi americani. L’uomo che parla è John Trudell, di cui ho saputo la prima volta grazie a “Incident at Oglala”, il documentario di Robert Redford. È un pezzo importante di storia americana che viene spesso nascosto. Tutto il modo di vivere dei nativi americani, il loro modo di guardare al mondo e alla vita è stato quasi interamente cancellato. Speravamo che Uktena potesse aiutare a riportare queste idee di nuovo nel mondo.
Ora invece parliamo di te come solista. In più occasioni hai accennato al fatto che le tue radici, la tua casa nei monti Appalachi e la cultura del posto dove vivi hanno un’influenza sulla tua musica, addirittura la definisci Appalachian rock/metal. Pensi che saresti lo stesso artista, se fossi nato da qualche altra parte? Cos’è più naturale per te? Essere parte di una band e suonare con altre persone o creare in solitudine? Stai lavorando su nuovo materiale solista?
Sono abbastanza fortunato da vivere in un luogo che è parte di me e viceversa. È raro in questo Paese “transitorio”. Mi è sempre pesato il modo in cui le mie radici rurali erano percepite, e ora è apparentemente qualcosa di cui le persone sentono di potersi appropriare e sfruttare con musica e immaginari finti. Metti una piuma nel tuo capello e procurati delle salopette, questo è stato l’investimento di certa gente qua. Io sono qui per rimanere, la mia famiglia è qui. Mi fa star male allontanarmi a lungo, anche se amo viaggiare. So che la gente vede e sente l’autenticità della mia musica, e questo è grandioso. Voglio che sia così. Faccio quello che faccio volentieri senza condizioni. Per quanto riguarda la performance da soli, è molto più facile. Non mi devo preoccupare di niente, tranne che di me stesso. Posso accettare offerte al volo, e registrare ogni volta che ho voglia.
Non sta succedendo molto di recente, perché tutto ciò che faccio è lavorare in un deposito di legname. Sto letteralmente usurando il mio corpo, e questo è quanto. L’America è un posto rovinato, arretrato e vuoto per tanti motivi. E premia la merda più stupida immaginabile. Mi sono arreso tanto tempo fa.
Ultima domanda. Purtroppo oggi la maggior parte degli artisti indipendenti difficilmente vive di ciò che fa, deve avere altri lavori, che tra l’altro devono consentire loro di andare in tour. Cosa fai per mantenerti e come gestisci il tempo da dedicare alla musica? Che consiglio daresti a un te stesso di 20-25 anni fa? E che consiglio daresti a chi sta per iniziare adesso?
Ho fatto di tutto per sostenermi nella vita. Adesso lavoro in un deposito di legname. Ordino e imballo legna, carico e scarico camion, piallo, tutto ciò di cui c’è bisogno. Passo il grosso della mia giornata in mezzo a rumore con ragazzi coi quali non posso comunicare verbalmente per via delle barriere linguistiche, ma sono simpatici. Mi piace chi lavora sodo, gente imperniata sulla propria famiglia. Odio la cultura americana moderna, piagnucolosa e meschina, egoista. Sociopatica. Premia la pigrizia e punisce la forza. Quindi non sono granché empatico coi problemi dei bianchi di oggi.
Ecco cosa avrei detto a me stesso di vent’anni fa: “ragazzo, non aspettarti granché da nessuno”. A una nuova band direi di suonare ogni volta come se fosse l’ultima, e di divertirsi il più possibile. Non lasciare nulla d’intentato, non aspettare. Fatelo ora. E non fidatevi di nessuno. Mai.