NANGA PARBAT, Downfall And Torment
Nanga Parbat è conosciuta come la montagna assassina a causa del considerevole numero di vittime mietute tra coloro che hanno provato a scalarla. A tale scenario la band romana deve la scelta del nome: un immaginario davvero calzante quello di una faticosa scalata, piena di ostacoli e sentieri impervi non privi di rischi, anche se si considera la lunga gestazione di quest’album di debutto, che vedrà la luce dopo anni, precisamente il 23 marzo 2021 su Sliptrick Records.
Downfall And Torment si presenta come un viaggio attraverso vari contesti naturali estremi: dalla cascata di “The Edge Of An Endless Waterfall”, che ricorda da vicino alcune virate acustiche di Ulver e Dissection, alla conclusiva “Breath Of the Northern Winds”, passando per laghi, paesaggi innevati, maree e disgelo, l’umanità è in lotta con la natura ma al contempo è parte di essa.
Da un punto di vista musicale, la band attinge a piene mani dalla tradizione del Gothenburg Sound, altresì conosciuto come melodic death metal svedese, lasciando però ampio spazio a una forte componente progressive, più “di casa” a Stoccolma: è come se, intorno al 1997, gli Opeth e gli At The Gates si fossero incontrati a metà strada tra le due città e avessero dato vita a una collaborazione. Tuttavia, nell’insieme si nota una bella creatività, specie nel riffing.
La presenza di un coro e di elementi orchestrali – un quartetto d’archi formato da contrabbasso, viola, violino e violoncello, la cui gestione è stata affidata a Francesco Ferrini dei Fleshgod Apocalypse, conferisce un’eleganza tutta italiana all’insieme. Notevoli anche i contributi della chitarrista Fabiana Testa nel brano di apertura e del giovane shredder Edoardo Taddei su “Through A Lake Of Damnation”. Produzione, mix e mastering sono stati affidati a Marco “Cinghio” Mastrobuono, vero e proprio punto di riferimento della scena.
Il lavoro chitarristico attento e molto preciso di Flavio Cicconi ed Edoardo Sterpetti, corroborato dall’enorme versatilità tecnica e interpretativa del frontman Andrea Pedruzzi, assieme a una sezione ritmica ineccepibile (Giulio Galati alla batteria ed Enrico Sandri al basso) rendono l’album formalmente perfetto: ogni nota è ”ragionata”, ma non vi è alcuna forzatura, anzi in certi brani più che in altri si nota una spiccata orecchiabilità – il ritornello di “Blood, Death And Silence”, per esempio, è un autentico “earworm” di cui non ci si riesce proprio a liberare (in senso buono, mi preme sottolineare). Suggerisco il videoclip: regia di SandaMovies, a tutti gli effetti una garanzia di qualità.
La title-track dell’album contiene un chiaro riferimento al Macbeth di Shakespeare come emblema dei tormenti dell’umanità, qui magistralmente interpretati da un altro ospite d’eccellenza: Davide Straccione, frontman di Shores Of Null e Zippo, che si riconferma una delle migliori voci nel metal italiano.
Il brano strumentale in chiusura, dal sapore dolce-amaro, è quasi una ballata, che ricorda vagamente la splendida “Voice Of The Soul” dei Death, degno epilogo di un lavoro complesso e stimolante.
In conclusione, il debutto dei Nanga Parbat è sì uno struggente omaggio alla Svezia degli anni ’90, enciclopedico e ricco di particolari, ma è anche un percorso interiore, in cui musica e parole creano una potente struttura narrativa che, al pari di grandi opere letterarie, ci permette di immedesimarci nelle sue tematiche, raccontando anche un po’ di ognuno di noi.