NAAT, Fallen Oracles
Prima di iniziare a leggere questa recensione, fatevi un favore e guardatevi il videoclip di Liquor, seconda traccia di quest’ultimo lavoro dei genovesi Naat, poi tornate pure qui e passate al paragrafo successivo. Non barate, mi raccomando, o il gioco non funziona.
Quando si parla di musica cinematografica, normalmente uno è portato a pensare alle colonne sonore, composizioni (originali o meno) volte ad amplificare la portata delle immagini che accompagnano. Se invece si considerasse la musica non come un rinforzo del messaggio a schermo, bensì come sua parte integrante, non sarebbe più possibile scindere i due linguaggi in audio e video e si otterrebbe una sola opera, coesa e coerente, capace di portare la fruizione su un livello più coinvolgente e intenso.
I Naat sono un felice esempio di questa accezione di “musica cinematografica”. Forti di una visione d’insieme competente su entrambi i mondi (dietro alla macchina da presa c’è la più che capace direzione del loro chitarrista, Francesco Calzona), dopo un periodo di stasi, tornano con un album solido, personale e frutto di un’intesa non comune tra i membri della band.
Le sette tracce di Fallen Oracles, registrate rigorosamente in presa diretta in studio, ci regalano trentanove minuti di post metal strumentale dinamico, curato e sempre teso a sviluppi piacevoli, mai scontati. La cifra compositiva è la costante ricerca melodica affidata alle chitarre, filo conduttore stilistico che ricama continuità su di un’eccellente sezione ritmica, dando ora respiro, ora carica drammatica e sempre variegata dimensionalità alle parti monolitiche che costituiscono la spina dorsale del suono dei Naat.
Gli echi dei mostri sacri del genere, dai Pelican ai Russian Circles, dagli Isis ai primi Cult Of Luna, sono percepibili, ma mai evidenti: i genovesi hanno ascoltato, assimilato, imparato le lezioni, poi, hanno disegnato carte nuove e rimescolato il mazzo con le proprie mani. Nulla di citazionistico, nessun tributo, nemmeno una scopiazzatura.
Un certo album dell’anno domini 2000 di tutt’altro genere, aveva come sottotitolo Music to an interior film; lungi dal porre inutili paragoni sul piano contenutistico, ma cogliendo ispirazione esclusivamente dall’intenzione di quella frase, quest’anno, quattro bravi artisti nostrani hanno proiettato in musica delle immagini meravigliose.