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MY DEAR KILLER, Collectable Items

Nel 1975 gli Area pubblicavano quello che probabilmente è il loro brano di maggior successo, quel “Gioia e Rivoluzione” che preconizzava il carattere festoso di una rivoluzione a venire (e ancora non pervenuta) o, meglio ancora, che sottendeva il carattere rivoluzionario della gioia.

Era il 2009, invece, quando Boring Machines pubblicava una sostanziosa raccolta intitolata “Quit Having Fun”: molti dei brani ivi contenuti sono opera di musicisti allora misconosciuti, parecchi di loro hanno a tutt’oggi fatto perdere le loro tracce e la compilation è ad ascoltarla, oggi come ieri, bellissima, una lunga, autentica elegia del tedio e del fallimento. Fino ad un certo punto “Smettila di Divertirti” è stato anche il claim della creatura tutta speciale di Andrea Ongarato, arrivata al quindicesimo anno di attività e alla sua centesima uscita.

Il primo a essere pubblicato dall’etichetta di Castelfranco Veneto è stato proprio un disco di Stefano Santabarbara, rimasto nel cassetto (o sotto il letto, per citare la microlabel gestita da lui) per anni e quindi venuto alla luce come opera prima firmata My Dear Killer. In Clinical Shyness può essere rintracciata già tutta la poetica dell’alt-folk di Stefano, come pure una dichiarazione di intenti da parte di una label che da sempre rifugge l’idea di musica come motivo di sollazzo.

Comunemente si tende ad attribuire una connotazione negativa al sentimento della tristezza, accomunandolo a una condizione di impotenza, o peggio ancora di depressione, e colui che vi è incline viene sovente etichettato come sociopatico, un soggetto diviso fra autocommiserazione e disprezzo del prossimo. Al contrario tenderei a legare la tristezza alla capacità di introspezione o a una sensibilità fuori dal comune, la considero un sentimento persino rivoluzionario in una società in cui il divertimento appare come un obbligo morale, ipotesi tutt’altro che peregrina se consideriamo, ad esempio, che la contestazione giovanile trasse un impulso fortissimo dalla riflessione degli esistenzialisti, che proprio degli allegroni non erano…

La musica di My Dear Killer è una delle espressioni più alte della tristezza in musica, la sua bellezza è un’affermazione implicita del diritto ad essere tristi: non parliamo di malinconia o nostalgia –sempre di gran moda – di qualcosa che si è stati, il suo è proprio rammarico per quello che non si riesce ad essere. Collectable Items parla di “possibilità sprecate, tenerezze non corrisposte, incomprensioni” e lo fa nella maniera a cui Stefano ci abituati, con il suo timbro vocale inconfondibile, rotto dal dispiacere, con gli arpeggi affogati nel feedback e nelle registrazioni ambientali. Stavolta il ventaglio espressivo è notevolmente più ampio rispetto al passato, è stata alzata l’asticella del rumore e lo stile chitarristico stesso, per quanto sempre riconoscibile, sembra covare una rabbia inedita, genuina, con le corde quasi strappate dalla chitarra, che friggono e frustano impetuose, in un perenne rincorrere la voce e non riuscire a raggiungerla per placarne l’amarezza e i moti di profonda inquietudine. Spazio quindi al feedback, alle registrazioni ambientali, agli inserti di chitarra elettrica ma anche agli archi, sintetici e non, all’organo e ai sintetizzatori, in una fusione perfetta fra gli elementi in causa.

Se la gioia ha sempre fallito le sue opportunità di cambiare le cose, proviamo a dare una chance alla tristezza.