MUSCHIO, Zeda
Tornano i Muschio, formazione che abbiamo sempre seguito da vicino e che ha saputo imporre un linguaggio strumentale fatto di mutazioni psichedeliche, riverberi postcore e divagazioni post-rock energizzate. Con Zeda la formula si evolve e compie un ulteriore passo in avanti, grazie a una scrittura e a riff che ricordano per forza d’urto la montagna da cui il disco prende il nome. Si procede lungo la fortunata direttrice che ha segnato finora il cammino dei Muschio, trio con due chitarre e nessun basso, ma se ne rafforza il carattere con spirali sonore ricche di distorsione, saldamente ancorate a un drumming dinamico e al contempo roccioso. Come già notato, il trio non soffre la mancanza di una voce, proprio perché in grado di costruire brani incisivi e ricchi di sfumature differenti, sempre distanti dall’indulgere in auto-referenzialità e con una botta da power trio che lascia il segno sin dal primo ascolto. Proprio questa caratteristica permette a Zeda di vincere la sfida e lasciarsi alle spalle la leziosità di molti lavori similari, tanto da far venire in mente un’altra formazione che ha fatto in passato della geografia montuosa il proprio tratto distintivo (ovviamente stiamo parlando dei tedeschi Omega Massif), dai quali i Muschio si distinguono per una robusta deriva psych che rende l’insieme ancor più vorticoso e lisergico. Immaginate Zeda come la colonna sonora perfetta per una scalata in alta quota, il successivo incontro con uno strano personaggio e il banchetto finale a base di funghi che alterano le vostre percezioni. Non tutti riescono a dare una forma così concreta e definita alla propria musica, soprattutto se priva di una voce narrante che guidi per mano l’ascoltatore e suggerisca dove posare lo sguardo, fosse solo per questo restiamo convinti di avere a che fare con un nome da tenere in considerazione quando si ha a che fare con simili sonorità. Impossibile, infine, non menzionare l’artwork firmato SoloMacello, ma ormai si tratta dell’ennesima conferma.