MUNLY AND THE LUPERCALIANS, Kinnery Of Lupercalia; Undelivered Legion + live report
Bologna, Circolo DEV, 13/10/2022.
Un ponte fra Hank Williams e i Misfits, così si definiscono Munly And The Lupercalians, lo strambo assortimento di artisti di Denver (Colorado), sulla scena da trent’anni sotto diverse forme, ora in tour europeo con il secondo album Kinnery Of Lupercalia; Undelivered Legion, uscito a maggio 2022 per la loro etichetta Scacunincorporated.
Il 13 ottobre, nello spazio raccolto per pochi-ma-buoni del Circolo DEV nel cuore underground di Bologna, la band ha prima pazientemente aspettato nell’ombra alla destra del palco che Stella Burns suonasse qualche pezzo e creasse un’atmosfera intima con un cantautorato sincero, poi è andata ad indossare gli abiti cerimoniali, ha posizionato alcuni elementi scenografici sul palco fra gli sguardi incuriositi e divertiti della gente, e finalmente ha iniziato a suonare.
Lo spettacolo è totale, per capacità tecnica di ogni componente, suoni, luci che accompagnano ogni passaggio, costumi, ricerca visiva oltre che musicale e la totale organicità di Jay Munly, Todd Peeler Moore, Slim Cessna, Lord Dwight Pentecost, Rebecca Vera: due tastiere, banjo, melodica, violoncello, chitarre acustiche, due postazioni di percussioni. Suonano in abiti cerimoniali pagani fatti di rami, cortecce, maschere e lunghi abiti scuri e disegnano immediatamente un paesaggio sonoro, al quale la calda voce baritonale di Jay Munly – l’unico a non essere travestito – conferisce un profondo e malinconico linguaggio. Uno dopo l’altro sono stati suonati la totalità dei brani dell’ultimo disco, che evolvono rispetto al primo l’identità della band, andando a definire sempre più la dinamica interna.
Viene molto difficile non accumulare un enciclopedico elenco di generi per riuscire a descrivere a parole la loro musica, che si pone in quella terra di mezzo che può esistere fra un alt-country dark, il bluegrass, l’hillibilly con tutta la curiosità dello strumento folkloristico, il gospel al limite dello yodel e overtones, a tratti spiritual sciamanico, per arrivare a creare il così detto Southern Gothic Sound di Denver. Stratificazione di textures, ritmiche articolate a livelli sinfonici orchestrali, atmosfere dense, contrappunti e contro-melodie, scelte radicali e coraggiose mantenendo però sempre una sottile ironia insieme al dramma; questa è l’esperienza di ascolto del disco, che live diviene un evento avvolgente, spirituale, quasi mistico.
L’album e i live set mantengono più o meno lo stesso ordine, aprendo con il clap-hands di “Ahmen”, un insolito gospel accompagnato da banjo, proseguendo con “Mattie” uno dei brani migliori del disco che live sprigiona un’energia potenziata rispetto all’inciso, e il più lento malinconico “Ben Asher”, in cui i contrappunti di synth accompagnano l’inizio lento e progressivamente cedono il posto alle pennate chitarristiche in un crescendo di energia e colore. A questo punto viene inserito in setlist uno dei pezzi più convincenti del precedente progetto chiamato Munly & The Lee Lewis Harlots, il corale “Big Black Bull Comes Like A Caesar” dall’immaginario nettamente country. Seguono “Döder” e “Jehu”, con una forte componente gotica, ed emerge quanto al piacere della narrazione fiabesca si unisca il contenuto esoterico dei testi di Jay Munly, un leader (anche se forse si potrebbe dire un preacher) che per presenza scenica e per timbrica non può che ricordare certamente Nick Cave. Ma anche Andrew Eldritch dei Sisters Of Mercy e sotto il suo mantello tutta la scena post-punk goth, sino alle evoluzioni più artsy folkloristiche di Virgin Prunes, Death In June
e Current93. Ma anche Mark Sandman dei Morphine e il suo autodefinirsi un “grunge implicito”, Micheal Gira degli Swans, voce visionaria della no-wave newyorkese, e infine David Eugene
Edwards in arte Wovenhand, con il quale c’è di più di una somiglianza, perché fra Munly ed Edwards c’è amicizia e collaborazione sin dal tour europeo fatto insieme ai tempi dei 16 Horsepower. La sequenza live dei brani accoglie a questo punto un altro pezzo dagli Harlots, una cavalcata country dal titolo: “Song Rebecca Calls ‘That Birdcage Song’ Wich Never Was Though Now Kind Of Is Because Of Her Influence”, seguita da “Grandfather”, un pezzo dei Lupercalians del 2010 dall’atmosfera magica guidato da banjo e contrappunti di synth che generano una dinamica ritmica spassosa ed emotiva. La tensione viene spezzata poi da un pezzo parte della produzione solista di Munly, un altro dal Lupercalians 2010, per poi chiudere con l’apotropaico “Scarebeast” in cui ritorna, proprio come il vento in apertura al pezzo, la sotterranea componente darkwave serale, la chiusura perfetta.
Nell’encore un’inaspettata cover dei Mötley Crue e la tomwaitsiana “Polpot”.
Ma cos’è Lupercalia? È una “comunità immaginaria di legioni e clans in cui non si è sicuri di chi sia chi”, queste le parole con cui Munly descrive ognuna delle configurazioni che i membri di queste band si sono date negli anni, prendendo a piene mani dall’immaginario carnascialesco dei carri allegorici e della tradizione pagana dei Lupercalia dell’antica Roma, che celebravano divinità faunesche con attività dionisiache, propiziatorie, travestimenti e giochi sovvertitori del normale ordine sociale quotidiano, coincidenti con il nostro carnevale. Il primo album del 2010 Petr & The Wulf viene preannunciato come il primo di una quadrilogia di storie ispirate all’opera omonima di Sergei Prokofiev, a cui segue quindi Kinnery Of Lupercalia, non si sa se le prossime puntate della storia usciranno come Lupercalians o come Harlots, degno di nota è la parallela attività di scrittura di Jay Munly, che ha pubblicato di recente una raccolta di racconti sempre ispirati a questo immaginario.
Si conclude così la storia breve di uno spettacolo totale dalla fascinazione esoterica, in perfetto allineamento con l’imminente Halloween, da non perdere di vista nei i suoi futuri sviluppi.
This town it is falling down, down into the sea, mountains they are heaving up all Lupercali. Closer comes the Wandering six inches every day, one day this place will fade away.