MR. BUNGLE, The Raging Wrath Of The Easter Bunny Demo
Seppellita la ruggine e reclutati due pezzi da novanta come Scott Ian e Dave Lombardo, i tre Mr. Bungle originari Trey Spruance, Mike Patton e Trevor Dunn hanno deciso di rimettere le mani sul loro debutto, che uscì nel 1986 su nastro autoprodotto, ben prima che il nome raggiungesse la fama e incontrasse i favori della Warner Bros. Questa loro decisione segue i live in cui si sono cimentati con brani originali e varie cover da brividi (“Malfunction” dei Cro-Mags con Flanagan al basso, tanto per dirne una), un modo per riannodare i legami con lo spirito early-crossover tipico del tempo in cui muovevano i primi passi e iniziavano a macinare riff come non ci fosse un domani. Così, ai brani presi dalla cassetta diy hanno aggiunto qualche inedito e un paio di omaggi, uno – riadattato – ai S.O.D. (“Habla Español O Muere”) e uno ai primi C.O.C. (“Loss For Words”), in modo da offrire un menù ricco e non risicato, figlio dello spirito melting-pot e in grado di aggiungere spezie a una ricetta che di suo presentava già una personalità ben definita. Il risultato colpisce nel segno e non suona come una mera operazione per racimolare qualche soldo giocando la carta nostalgia, il che non vuol dire che invece non sia proprio così, ma i cinque ne sanno talmente tanto e hanno questi suoni così radicati nel dna che non poteva che uscirne un signor disco di crossover thrash con lo spirito giusto e la botta necessaria per non suonare fiacco o stantio. Al contrario i brani – per via dell’enorme esperienza accumulata negli anni da questi musicisti e anche in forza della qualità di registrazione odierna – suonano potenti e freschi, hanno in sé quel pizzico di follia tipica dei Mr. Bungle dei Novanta ma senza strafare, insomma rappresentano una giostra per amanti del crossover di ogni età.
Si potrebbe scrivere che The Raging Wrath Of The Easter Bunny suona più S.O.D. che Mr. Bungle, il che forse è vero ma non è detto che sia una pecca nel momento in cui si rischiava di stravolgerne lo spirito con una versione meno filologica e più vicina ai dischi famosi, il che avrebbe – questo sì – rischiato di guastare il tutto. Morale della favola, questi signori hanno preso una manciata di brani composti in gioventù e registrati praticamente in casa, hanno assoldato un paio di amici che guarda caso sono due fuoriclasse appartenenti ai Big 4 del thrash mondiale, hanno aggiunto un paio di colpi ad effetto e ci hanno regalato un parco a tema per vecchi e nuovi devoti del culto mai morto del crossover thrash esploso a metà anni Ottanta. Possiamo fare tutte le pulci che vogliamo e gridare all’operazione ruffiana, possiamo cercare di mantenere un’aura da esperti scafati che non si fanno comprare dalla chincaglieria, ma alla fine la verità è che questo disco se amate certi suoni vi si appiccica addosso e non è per nulla facile restare freddi alle sue lusinghe. Per me è un sì.