MORTUARY DRAPE
Di solito, il black metal viene associato alla Scandinavia e a nomi come Mayhem, Burzum, Bathory, Darkthrone, Hellhammer, Immortal… eppure anche l’Italia ha dato il proprio contributo alla scena. Parliamo, ovviamente, dei Mortuary Drape, che fin dal loro esordio nel 1986 hanno scritto pagine importanti della storia di questo genere, influenzando molte band più giovani. Tanto per capire quale scia insanguinata abbiano lasciato, basti sapere che molti gruppi “famosi” li annoverano tra le loro fonti di ispirazione, ad esempio i Ghost, che li hanno citati più di una volta.
Una breve presentazione dei Mortuary Drape: come li descriveresti?
Walter (voce): Li descriverei come una band difficile da catalogare, una band che, con coerenza, porta avanti da trent’anni un percorso spirituale e musicale cominciato in giovane età, unendo elementi black, death e thrash metal a tematiche molto personali legate a occultismo, esoterismo e magia. Una band di sicuro in fase crescente, che grazie all’impegno costante del frontman, delle formazioni passate e soprattutto di quella attuale ha negli ultimi anni raccolto molti frutti senza scendere mai a compromessi di alcun tipo.
Siete definiti una band black/death metal sia dagli addetti ai lavori, sia dal pubblico, anche se in realtà il vostro sound è molto personale e profondo: le vostre radici affondano in questi generi, ma anche nell’occultismo, una componente così fondamentale che spesso vi siete definiti “occult black metal”. Possiamo ritenere questo l’aspetto che vi rende unici?
Sì, io credo proprio di sì. Con questo non voglio dire che non esistano altre band che fondono questi elementi, ma di sicuro i Mortuary Drape lo fanno a modo loro e dalla musica lo riconosci subito. C’è gente che dice che la musica dei Mortuary Drape “puzzi di catacomba”. Crea un’atmosfera che non ha parola che possa descriverla, ma che si distingue da tutto il resto.
Cosa mi dici dei testi? Su che immaginario si basano e che importanza assumono nel contesto di un brano?
Nelle nostre liriche abbiamo affrontato diversi argomenti e non ci siamo mai legati a un unico metodo di songwriting, le situazioni da cui può nascere un testo sono diverse e svariate, tutto dipende dallo stato d’animo del momento: a volte si comincia da una parte musicale che può ispirare la scrittura del testo, altre invece da alcune parole scritte per poi far partire la fase compositiva.
Le tematiche affrontate raccontano di esperienze a noi accadute e vissute, facciamo riferimento anche ad eventi storici, sempre però confrontandoli con la realtà di oggi e rielaborando il tutto in chiave Mortuary Drape.
Siete arrivati a trent’anni di carriera, guardando indietro cosa è cambiato, sia musicalmente, sia emotivamente?
Musicalmente ci si è evoluti molto; la formazione, cambiata col passare degli anni, ha acquisito maggiori capacità tecniche, maturità musicale… le registrazioni sono qualitativamente migliorate e anche il songwriting, ma sempre mantenendo un filo conduttore con le radici. Emotivamente e spiritualmente il cammino è proseguito, mano per mano con la musica d’altronde… la musica è la conseguenza dell’ispirazione emotiva ma soprattutto spirituale. Si è maturati caratterialmente e con questo anche il modo di vivere la spiritualità e l’arte che la rappresenta. Si è arrivati a maggiore introspezione e maggiore riservatezza.
Puoi descrivermi le sensazioni legate all’andare in tour e se c’è qualche aneddoto che ti piace particolarmente raccontare? Avete stretto rapporti con qualche band con cui siete stati in giro?
Le sensazioni legate all’andare in tour sono per certo sempre positive, nonostante gli imprevisti o la stanchezza, problemi che è normale avere. I Mortuary Drape sono sicuramente una live band, il palco è la dimensione che sa davvero render loro giustizia, e proprio in quella sede si concretizzano tutti gli sforzi compiuti a monte, che – te l’assicuro – non sono pochi per ognuno di noi: sacrifici, rinunce, pazienza, a volte nervosismi. Quando si raccolgono i frutti di tutto questo, si capisce cosa ci porta a proseguire. Per quanto riguarda le band con cui siamo stati in tour, con tutte c’è sempre stata molta affinità, poi ovviamente con qualcuna di più e con qualcuna di meno. Ci vuole sempre qualche giorno prima di trovare la sintonia, prima ci si scruta e ci si studia a distanza, poi si comincia a scambiarsi qualche parola… e si arriva a fine tour dopo aver convissuto per settimane ad essere compagni di backstage, di vita, nelle cose serie e nelle cazzate.
Ho letto in un magazine norvegese una recensione di Into The Drape in cui il giornalista si meravigliava di quanti italiani ascoltassero i gruppi black nordici, quando in realtà la nostra scena era da lui reputata fra le più vecchie e importanti al mondo. Nella stessa recensione, vi annoverava fra la band più rilevanti di questa scena. Condivido e approvo tutta la sua recensione, per cui devo dedurre che siamo un Paese con scarsa cultura musicale, vista la nostra forte esterofilia. Non ti scoccia sapere che in Italia non avete raccolto quanto seminato (come del resto altre band nazionali), nonostante i molti anni di attività?
Ti ringrazio delle parole. Purtroppo devo darti ragione. Non lo dico con presunzione… a prescindere da quanto possiamo noi piacere al pubblico italiano (al trentennale ho potuto vedere tanta partecipazione e calore), devo dirti che molto molto spesso mi capita di constatare come la scena nazionale sia di gran lunga più conosciuta all’estero che in Italia. Tutto questo poi si rispecchia nella vendita dei dischi e nella partecipazione ai concerti. Una band di scarsa qualità ma straniera è più facile che raccolga molti più consensi di una band nazionale ma di qualità superiore… non sto parlando di aspetti soggettivi come il songwriting, ma di aspetti oggettivi come le capacità tecniche o il livello del live show. Gli italiani sono un pubblico prevalentemente esterofilo.
Mi puoi descrivere il concept che si cela dietro il brano “Tregenda (Dance In Shroud)” e com’è nato?
Tregenda racconta di una notte in cui tutte le streghe si incontrano intorno ad un fuoco per danzare, da qui il ritornello “all the witches dance”, che dà anche il titolo all’album che contiene questa canzone.
La vostra ultima fatica, uscita nel 2014, si intitola “Spiritual Independence”. Puoi descrivermi l’album e da dove nasce il titolo?
Il titolo è abbastanza comprensibile, a dieci anni dall’ultimo Buried in Time abbiamo raggiunto una nostra indipendenza spirituale che ci ha portato ad affrontare diversi problemi e tornare a essere una band pronta sotto tutti i punti di vista. Nell’album si raccontano diversi episodi (canzoni) che proseguono il cammino intrapreso nel lontano 1986, rimanendo sempre perfettamente coerenti con musica, immagine e tematiche affrontate.
Domanda di rito: cosa ne pensi della scena black metal italiana e più in generale di quella internazionale?
La scena black italiana a mio parere nasconde molte perle, alcune della vecchia guardia, altre più recenti e che stanno raccogliendo molti consensi anche all’estero. Mi vengono in mente, tra le più recenti, gli Abysmal Grief. Più in generale posso dirti anche che ritengo che una grossa percentuale delle band in circolazione abbia davvero poco senso di esistere. Si tratta di gruppi con poco o nulla da dire musicalmente, a livello di tematiche molto poveri e, banali e a volte ridicoli… io parlo di “gente che ama truccarsi”… perché così è. Spesso vedi il black metal ridotto a uno sterile contenitore preconfezionato, fatto di face painting, fuoco e sangue, di gente che vuole gonfiare il proprio ego cercando tristemente di impressionare il pubblico con atti estremi… ma dal contenuto pressoché nullo. La stessa cosa vale per tutta la scena mondiale. Ripeto, dalla massa si distinguono rare perle.
Mi hanno sempre colpito i gruppi che oltre a proporre la loro musica dal vivo si presentano con scenografie curate e make-up. Ho assistito a un vostro concerto, e mi ha impressionato l’attenzione con cui addobbate il palco con candele, incensi, croci, pulpito e così via. Come è nata l’idea di questa rappresentazione teatrale e cosa significa per voi?
Questa idea non è nata a tavolino… i Mortuary Drape sono nati come gruppo di amici appassionati e ossessionati da tematiche come l’esoterismo, la magia, la riflessione sulla vita e sulla morte… solo successivamente si è passati a concretizzare l’esperienza spirituale in musica. La dimensione live, il concerto, è quasi un vero è proprio rituale per noi. Un rituale in cui bisogna calarsi e che permetta all’ascoltatore di attraversare i canali che portano a dimensioni più sottili rispetto a quelle della razionalità e superficialità quotidiana. Le candele, l’incenso, le luci, i simboli… sono tutti elementi che agiscono sui sensi di cui siamo dotati, indispensabili a predisporre al meglio chi ci ascolta per far arrivare al 100% ciò che sta dietro al velo della semplice “musica d’ascolto per piacere”.
Avete in programma qualche nuova uscita in studio?
Al momento no, tra pochissimo cominceremo a lavorare sui brani nuovi e speriamo di completare il lavoro di stesura al più presto.
So che sei diplomato in pianoforte al conservatorio, questo fatto ha in qualche modo influenzato la tua/vostra musica, tecnicamente ed esteticamente parlando? E se sì, in che modo?
No assolutamente, non ha influenzato né la nostra musica né altro, il conservatorio ti porta a essere un cliché sia a livello esecutivo che a livello metodico. Uscendo dagli schemi riesci invece a creare qualcosa di tuo e originale. Se invece rimani legato a quello che hai imparato, rischi di essere la fotocopia, di essere roba già sentita.
Cosa pensi quando leggi recensioni o scritti negativi sui Mortuary Drape? Ovviamente ben vengano le critiche motivate… quelle senza senso però… vuoi darci il tuo parere?
Ognuno di noi, a ogni live o uscita discografica, ha sempre persone fidate a cui chiedere pareri sinceri, severi, da gente che non si lascia influenzare dall’amicizia o ai rapporti umani. L’umiltà è la prima regola per continuare a migliorarsi ed evolversi. Quando uno crede di non dover più migliorare, si è fermato. Da lì inizia la fase discendente della parabola evolutiva, che si parli di musica, di personalità, di spiritualità. Per noi le critiche costruttive sono sempre oro colato. I complimenti servono ad appagare gli sforzi. Le critiche costruttive a migliorarci nel tempo e a spronarci a fare meglio.
Quando qualche recensore invece si diverte a fare critiche fuori luogo come sui costumi di scena, sul numero di corde dei nostri strumenti o che ne so… dapprima ti dispiace di non averlo davanti per poterlo prendere a schiaffi, ma immediatamente dopo ti dispiace per lui per la figura di merda che sta facendo divertendosi a fare critiche fini a se stesse… se chi lo legge ha un po’ di sale in zucca, a prescindere che gli piacciano o meno i Mortuary Drape, proverà compassione per le sue parole. Quindi… alla fine di tutto questo discorso, noi facciamo un sospiro, un sorriso e giriamo pagina!
Sabato 12 novembre 2016 avete festeggiato il trentesimo anniversario con una serata speciale, con grandi ospiti internazionali. Ho partecipato anche’io alla serata e sono rimasto colpito da quante lingue ho ascoltato: inglese, spagnolo, francese, tedesco… questo conferma il grande seguito che avete all’estero e l’importanza nella scena Black Metal dei Mortuary Drape.
Mi dispiace per chi non è potuto venire a vederci e avrebbe voluto. Posso dire che è stato un bellissimo concerto, a cui molte persone hanno lavorato sodo con e per noi, dietro le quinte e sul palco.
La cosa secondo me più magica è stata l’atmosfera di quella sera. È stato come tornare ai concerti black metal degli anni Novanta. Un’atmosfera che non può essere descritta a parole. Poi c’è da dire che il buon 40% delle 500 persone intervenute era straniero e quindi è una grande vittoria per noi e per il metal italiano. Vogliamo ringraziare tutti gli intervenuti e ci auguriamo che le riprese fatte possano partorire un bel dvd da poter immettere sul mercato per dare la possibilità a chi non c’era di vedere cosa si è perso e cosa siamo riusciti a fare quella sera con tutti gli ospiti intervenuti, abbiamo avuto l’onore di avere con noi sul palco AC Wild ed Andy Panigada dei Bulldozer, AldeNoble dei Death SS, Aphazel degli Ancient, Trevor dei Sadist e il nostro carissimo Erik Danielsson dei Watain. Una serata difficile da raccontare, un evento riuscitissimo grazie anche al duro lavoro di promozione fatto da tutti i nostri più stretti collaboratori.
Cosa ti è rimasto della serata come sensazioni e impressioni e cosa mi puoi dire sui duetti eseguiti con i vari ospiti?
Innanzitutto ti ringrazio per aver partecipato. Della serata mi è rimasto moltissimo, tanto calore da vecchi e nuovi amici, gente che non ci ha mai abbandonati. Curiosi, appassionati, musicisti, giornalisti. La reazione del pubblico è stata davvero grande. Noi tutti della band non dimenticheremo mai quella serata. Ci sono stati tra di noi sguardi che non avevano bisogno di parole… fatti di tanta strada percorsa assieme, soddisfazione per la riuscita del concerto. Emotivamente è stato davvero intenso, si è respirato davvero – come ho già detto – lo stesso clima dei concerti black metal degli anni Novanta. E soprattutto è da sottolineare l’indispensabile aiuto di chi dietro al palco ha lavorato sodo per tanto tempo, per la causa della band e della musica… senza non sarebbe stato possibile. Queste sono le persone che servono al mondo della musica underground.
I duetti con i vari ospiti sono stati la ciliegina sulla torta di quella serata. È stato un grande piacere ed onore poter suonare sul palco con ognuno di loro, sono stati davvero grandissimi.
Avete date live per il 2017?
Per il 2017 al momento abbiamo tenuto solo un concerto a febbraio a Rozzano (MI) con gli Abysmal Grief e altre band. Si stanno pianificando altre tournée all’estero e molta carne è sul fuoco, presto ci saranno novità.
Siamo alla fine dell’intervista, se vuoi aggiungere qualcosa sentiti libero di farlo.
Voglio ringraziarti per lo spazio concessoci, invito tutti quelli che leggeranno a restare sintonizzati per scoprire le prossime novità e a partecipare ai concerti e supportare i Mortuary Drape e tutta la nostra scena nazionale, perché ha molto da dire.