MORNE, Milosz Gassan
Cinque anni passati dalla nostra ultima intervista, nuova line-up, nuovo disco appena uscito da presentare: di cose da dire questa volta ce n’erano parecchie e Milosz Gassan non si è di certo tirato indietro nel raccontarci cosa sia successo e come si sia arrivati al convincente To The Night Unknown. Per questo tagliamo corto con i convenevoli e lasciamo la parola direttamente al cantante/chitarrista.
Ti va di presentarci la nuova line up e il nuovo album? Quali le differenze principali con Shadows?
Milosz Gassan (chitarra, voce): Dall’ultimo disco abbiamo avuto un paio di cambi nella formazione. Paul Rajpal si è unito a noi circa tre anni e mezzo fa e suona la chitarra. Morgan, al basso, ci ha raggiunto due anni fa. Sono cose che succedono e va bene così. Io ho continuato ad andare avanti a dispetto di tutto e questo mi ha dato un senso di libertà, oltre a rigenerare la band. Ora abbiamo una buona alchimia e un’atmosfera positiva all’interno del gruppo, tutto è più fresco ed eccitante. Io sono sempre stato il compositore principale, per cui le peculiarità dei Morne non sono cambiate molto, ma il rinnovamento ha allargato gli orizzonti o, meglio, mi ha dato la possibilità di fare ciò che andava fatto, perché tutti lo apprezzano e capiscono la direzione intrapresa. Tutti i nostri dischi condividono la stessa atmosfera, sono i dettagli a cambiare.
Credi insomma che questi cambiamenti abbiano influenzato la scrittura o il suono? Mi sembra che le parti di chitarra siano più forti e abbiano un ruolo maggiore, come se tu e Paul aveste un’intesa particolare. Sono sempre i Morne, ma sembra che ci siano più sicurezza e voglia di andare oltre.
Paul e io siamo in qualche modo connessi e ci capiamo alla perfezione. In genere, sono una specie di uomo delle caverne con la mia chitarra, non so se riesco a spiegarmi: scrivo i riff, i passaggi e questo genere di cose e Paul aggiunge le parti soliste e alcuni arrangiamenti. Accade tutto in modo naturale e c’è una buona connessione, senza forzature né discussioni. Ci siamo limitati a suonare e ha funzionato.
Questo ha influito anche sui testi?
Credo che i miei testi abbiano lo stesso stile dei dischi precedenti. Ho scritto di ciò che accadeva nella mia vita in quel momento, come ogni volta. Cerco di non commentare su questo aspetto perché voglio che le persone li leggano e li interpretino come preferiscono. Non mi piace suggerire.
Quindi preferisci che le persone filtrino la tua musica attraverso le loro lenti e stabiliscano una connessione personale con essa? Ti interessa, poi, scoprire quale sia? Come ti relazioni con i tuoi ascoltatori?
A volte le persone mi scrivono e mi raccontano di cosa hanno trovato nelle mie parole e di come accada che queste le aiutino con la loro vita. Ritengo sia la migliore connessione possibile per chiunque scriva testi o musica. Nulla è forzato o suggerito, le persone devono solo limitarsi a leggere e interpretare. Questo è il rapporto che voglio, perché è più personale.
Parliamo della musica. Sembra che quando componi tu tenga sempre d’occhio l’aspetto melodico e il come parti pesanti e più atmosferiche stanno trovando equilibrio. Quale è il tuo obbiettivo? Non parlo del successo, ovviamente, ma di ciò che ti fa sentire soddisfatto e orgoglioso di ciò che crei.
Nulla è pianificato, voglio che la nostra musica venga fuori nel modo più naturale possibile e penso che questa volta ci siamo riusciti abbastanza bene. È un processo spontaneo, se capisci cosa intendo. Il miscelare insieme parti pesanti e melodie produce un alternarsi di bellezza e oscurità, a momenti è persino terrificante. Mi piace che la musica abbia questo tratto: puoi scavare a fondo e lasciartene circondare. Io mi sono semplicemente arreso a lei e ho lasciato che venisse fuori senza costringerla in qualche modo, perché apprezzo molto le band che lavorano così.
Per quanto riguarda i miei obbiettivi, voglio solo continuare a fare ciò che facciamo e farlo sempre meglio.
Dove metteresti i Morne in un’ipotetica mappa musicale? Vi sentite parte di una comunità o di qualche scena specifica?
Cerco di partecipare sempre ai concerti – ci vado ogni volta che posso – e di supportare la scena locale. Anche noi suoniamo quanto possibile, anche se non troppo spesso. Ogni anno organizziamo un concerto a dicembre e invitiamo band di qui perché ci piace far parte della scena locale. È diventata una specie di tradizione. In questo senso sì, direi che siamo parte di una scena.
Ho sempre immaginato i Morne come una band profondamente legata alle proprie radici e alla vita reale, insomma la classica vecchia attitudine. Vi vedo come un’entità che ha superato i confini locali ma continua a lottare per non perdere il contatto con il proprio background e i propri principi. Magari è un’idea derivata dalla Boston cinematografica o dalla vecchia scena hardcore…
Boston è un posto strano e le varie scene musicali sono molto differenti. A volte mi domando perché. Boston, in realtà, non è una grande città, intendo non come New York o Los Angeles, eppure capita che ci si perda nella scena. Vado ai concerti e vedo le stesse persone che suonano in nuove band, le cose si muovono molto velocemente. Siamo parte di questo anche noi, ma tentiamo di tenerci di lato, non suoniamo troppo spesso qui, al massimo una o due volte all’anno. È una nostra scelta, odio vedere le solite tre band suonare ogni singolo fine settimana.
I Morne sono nati nel 2005 ma tu eri già attivo dai Novanta, come credi che l’avvento della rete abbia influenzato l’ambiente musicale, in particolar modo quello diy e underground? Credi che si possa continuare a parlare di una comunità artistica che porta avanti gli stessi ideali?
Credo stia alle persone decidere come usare quel mezzo, può essere una cosa buona o diventare un’idiozia se abusato. Semplifica il mantenere i contatti e restare connessi, ma al contempo questo crea lo svantaggio di rendere tutto troppo accessibile e quindi anche veloce e troppo di poco valore. Ricordo quando ero in tour in Europa nei Novanta e dovevamo davvero faticare per portarlo avanti. Non dico che internet sia una cosa cattiva, ma forse rende tutto un po’ troppo semplice. C’è posto e tempo per tutto, ma la chiave è usare le cose in modo sensato.
Credi che la vostra musica sia influenzata dai cambiamenti socio/politici? Possiamo definire in qualche modo i Morne una band politicizzata, anche se in senso generico?
Non ci definiamo una band politicizzata, ma chi ci conosce come persone sa da che parte siano le nostre idee politiche. Veniamo dalla scena punk, il che potrebbe rendere le cose ovvie, ma mi piace aggiungere che ragioniamo da soli, non amiamo seguire chi segue altri.
Oltre alla musica cosa ti interessa? Sei interessato ad altre forme di arte o creatività?
Lavoro nel teatro da oltre venti anni, curo le scenografie. Ho anche un diploma in fotografia, ma l’ho messo da parte molto tempo fa. Mi attrae qualsiasi lavoro di creazione, perlopiù con i metalli. Costruisco fibbie per cinte e cose del genere, un’attività che al momento ho rallentato viste le molte cose in cui sono occupato.
Chi si è occupato dell’artwork e in che modo si collega al mood o ai temi del disco?
Un paio di anni fa mi è venuta questa idea di avere dei fiori di papavero sulla copertina del nostro nuovo album. Ne ho parlato con una mia amica fotografa e lei ha realizzato le foto. Sono meravigliose. Non volevo che la copertina fosse banale, se sai cosa intendo, non la tipica cover metal o doom. In fondo, tutti i nostri artwork sono così. Vorrei che fossero le persone a fare i collegamenti tra musica, testi e grafiche. Voglio che siano loro ad interpretarli senza miei suggerimenti, perché credo che lasciare cose non dette crei orizzonti più ampi.
Come siete giunti alla creazione della Morne Records e che mi dici della Armageddon?
Conosco Ben della Armageddon da fine anni Novanta, ha anche suonato il basso con me quando stavo tentando di mettere insieme la formazione e siamo amici da tantissimo tempo. Ha anche realizzato la versione in vinile di Asylum negli States. Noi, invece, abbiamo creato al nostra label quando stava per essere realizzata la versione in vinile di Shadows, che è uscito appunto per Morne Records e Armageddon. L’idea di una nostra etichetta personale è nata molti anni fa, in gran parte per vedere se riuscivamo a farcela da soli, in parte perché ho difficoltà a star dietro alla gente e alle sue stronzate. Non ho alcun interesse a dare la caccia alle persone, ad aspettare che rispondano o meno alle mail. Mi piace operare a un livello semplice e meno è la gente con cui devo interagire, meglio è. Abbiamo deciso di mantenere anche questo disco sotto la nostra ala e far quanto più possibile da soli con il solo aiuto della Armageddon. Molti ci hanno suggerito di mandare il disco alle grosse etichette, ne abbiamo parlato e alla fine abbiamo deciso di continuare così. Non siamo mai andati a “far spesa” di label. In realtà, siamo stati avvicinati da alcune di loro per i nostri vecchi dischi ed è stato carino sentirci viziati, ma l’avere il controllo su ogni singolo aspetto era ciò che volevamo per questo album. Non stiamo chiudendo porte, se qualcuno vorrà parlarci per collaborazioni future, noi ci saremo.
Avete in cantiere un tour per promuovere il nuovo disco? Vi vedremo in Europa e Italia nei prossimi mesi?
Sì, ma non nei prossimi mesi, verremo in tour in Europa il prossimo anno. Vogliamo che il disco circoli per un po’ prima di tornare nuovamente sulla strada.