MORKOBOT, GorgO
Nel 1962, in un episodio de “Ai Confini della Realtà” intitolato “To Serve Man”, un gruppo di alieni sbarca sulla Terra. Altissimi e muti, i Kanamiti iniziano a comunicare telepaticamente con gli essere umani, ai quali donano un misterioso volume che sembra essere una loro dichiarazione di sottomissione…
C’è qualcosa di simile nella venuta dei MorkObOt sul nostro pianeta, giunta a quasi 40 anni di distanza. Questi misteriosi quanto bizzarri “messaggeri” hanno infatti scelto di esprimersi utilizzando una musica puramente strumentale, dandoci qualche indizio sui loro intenti e pensieri tramite i titoli delle loro canzoni, dei veri e propri anagrammi e giochi lessicali.
Bisogna dunque partire dal determinare il senso di quel “GorGo”.
Etimologicamente, un “gorgo” è “un punto di un corso d’acqua in corrispondenza del quale si crea un vortice”. Non stupisce, quindi, che il suono di questo disco sia più ipnotico dei precedenti e che alcuni pezzi, come ad esempio “Gorokta”, siano dei veri e proprio turbinii sonori.
“Gorgo”, però, è anche un film di Eugène Lourié del 1961, ultimo capitolo della sua “trilogia sui dinosauri”, che racconta di un cucciolo di mostro marino che viene catturato e reso un fenomeno da circo, finché – dopo aver distrutto la città – la madre non giunge a salvarlo. Un immaginario che sembra molto caro a Lin, Lan e Lon e che ricalca alla perfezione quel clima di suspense portato alla luce da uno dei brani più brillanti del disco, “Ogrog”, le cui sonorità scure à la Fudge Tunnel/Unsane possono essere il sottofondo perfetto mentre i palazzi attorno a noi cadono e la polvere copre il cielo.
GorgO è un album monolitico, compatto. Registrato in soli tre giorni da Giulio “Ragno” Favero al “Lignum Studio” di Padova e mixato in soli otto senz’alcun editing ulteriore, il quinto lavoro in studio di questo power trio alieno è un mix di noise rock, punk e rock’n’roll, che si unisce però agli elementi più estremi dello sludge. Il risultato è un disco di sette tracce che amalgama suoni e stili, facendo anche richiami continui a quelli che sono stati i gruppi precursori di questo genere: Don Caballero e Lightning Bolt in primis. L’ormai consolidata formula a due bassi è resa ancora più fisica dall’incedere senza sosta della batteria. Ne è un esempio “Kologora”, un brano dal ritmo serratissimo. L’epilogo è lasciato a “Gorog”, un brano di oltre 9 minuti lento ed ipnotico, a tratti cupo, in cui il vigore delle prime tracce lascia spazio ad un sound più etereo, dilatato, con chiare influenze new wave. Il linguaggio di questi messaggeri può quindi essere quello delle note, del songwriting estremamente matematico e studiato, caratterizzato dall’incessante rimescolamento di basse frequenze infarcite di effetti e che ci intacca le sinapsi lasciandoci storditi e attoniti, come un morbo proveniente da un altro pianeta.
Nel finale di “To Serve Man”, il messaggio degli alieni, inizialmente mal interpretato, viene codificato nel modo corretto: si scopre che “servire un uomo” non è inteso come un “mettersi al servizio di”, ma come un “portare in tavola”. L’umanità è dunque destinata a diventare una succosa pietanza per i visitatori extra-terrestri. Cosa vorranno dirci, invece, i Morkobot? Ci serviranno in tavola all’urlo di “COdrOipO”?