MORE EAZE, Lacuna And Parlor
Mari Maurice Rubio è anima e artefice del progetto More Eaze fin dal 2016, anno dell’anomalo esordio con l’impronunciabile h3ll0!.
A distanza di otto anni e ben dieci dischi, la compositrice e polistrumentista americana si ripropone con Lacuna And Parlor, album in cui la Rubio pare voler risalire alle origini del sistema tonale, utilizzando poche progressioni di accordi e limitando le armonie: in sostanza, un’altra (l’ennesima) declinazione dell’idea di minimalismo, forma compositiva tutt’altro che pigra se concepita da menti musicalmente dotate. È altresì vero che il numero sproporzionato di compositori sorti anche solo negli ultimi vent’anni dediti a questo genere induce a dubitare del fatto che siano tutti geni. Nel caso della Rubio (e in generale del progetto More Eaze) il suono è tanto accademico quanto contaminato da venature pop che fanno pensare ad un approccio divertito, forse anche ironico. Certo, non si può parlare di aderenza ad uno stile preciso: in Lacuna And Parlor troviamo di tutto: archi, rumori urbani, lo-fi, pop e abrasive textures contemporanee.
I morbidi arrangiamenti oldfieldiani e retro-pop di “Waltz” accompagnano una prima traccia dall’andamento sonnolento, messa un po’ a caso subito prima di “Blanking Intervals”, dal taglio decisamente meno molle, un ostinato minimalista che si trasforma in pop song del XXI secolo dalle intenzioni cameristiche (anche se il timbro vocale risulta piuttosto incolore) per arricchirsi infine di pulsazioni elettroniche e carezze chitarristiche sognanti. Sono gli anni Sessanta trasportati nel 2024 – senza dimenticare troppo tutto ciò che sta nel mezzo – e con l’inevitabile deriva psichedelica in chiusura, merito soprattutto della chitarra di Wendy Eisenberg: dilatata come tutte le digressioni lisergico-musicali anche se inutilmente intrappolata nelle maglie di un finale estenuante.
“Leap Year Compersion” combina ambient e chamber music: nelle intenzioni dell’autrice forse è solo una traccia di passaggio che inaspettatamente risulta tra le migliori del disco per sobrietà, efficacia e misura. In “Materials For Memory” è la registrazione dei suoni quotidiani a contrapporsi a una partitura cameristica dalla persistenza decisamente più ruvida (e alla lunga anche sgradevole) con gli archi a mimare il suono dei clacson. “(A)nother Cadence” è l’ennesima riscrittura di Glass di cui nessuno aveva realmente bisogno perché fine a sé stessa.
Conclude “Adagio For Pedal Steel Ensemble And Overdubbed Room”: echi e rintocchi elettrici immersi in un ambiente sonoro intimo e casalingo, chitarre languide dalle nostalgiche cadenze pop lontane ormai nel tempo.
Con quello scatto sorridente di fronte a una torta di compleanno sulla pagina Bandcamp è facile voler bene alla Rubio, valente polistrumentista: ciò che forse lascia ancora un po’ perplessi è l’attitudine a contaminare gli stili fino a generare intenzionali pastiche con poca anima e molto artificio. Ben venga il sincretismo, da cui ben pochi autori oggi possono prendere le distanze, soprattutto nell’area più sperimentale. Come con il minimalismo, però, è necessario avere una chiarezza d’intenti non comune per mischiare le carte senza che il risultato appaia forzato.