MONTY ADKINS, Borderlands
Il quarantenne Monty Adkins è sia compositore, sia sound artist, ed è anche professore di “Experimental Electronic Music” presso l’Università di Huddersfield, che si trova tra Leeds e Manchester. I suoi lavori combinano la conoscenza della musica concreta agli strumenti classici, come accade in “Borderlands”, un unico pezzo di trentaquattro minuti, ottenuto partendo da una serie di frammenti di violoncello, suonati da tale William Mace e ricombinati/sovrapposti dal professore per far parte di una sorta d’installazione, nella quale il pubblico viene/veniva chiuso in una specie di igloo bianchissimo, fornito di cuffie con le quali immergersi nell’ascolto (della musica e anche di uno spoken word, assente nella pubblicazione Audiobulb di cui sto scrivendo). Come spesso accade in questi casi, proprio d’immersione è necessario parlare: il gusto di Adkins nel ricomporre gli elementi fornitigli da Mace sembra sopraffino e la sensazione è quella di ascoltare ambient ottenuta coi mezzi della tradizione, non fosse per la presenza di basse frequenze troppo innaturali (a regalar una fisicità e una profondità all’insieme) e di suoni più alti e in apparenza sintetici che spingono su territori più irreali. Meglio ribadirlo, comunque: è tutto così coerente che uno lascia quasi subito perdere l’analisi per godersi meglio la traccia. D’altro canto, non è con Adkins che si scoprono certe potenzialità de violoncello e questo Borderlands non è una tappa fondamentale, però rientra nella rosa di dischi che stuzzicano e che ci si può comprare, non certo tra quelli da scartare senza rimpianto.