MOMBU, Luca T. Mai
Luca Tommaso Mai, dopo l’esperienza con gli ZU, due anni fa ha formato i Mombu insieme ad Antonio Zitarelli, già suo compagno d’avventure negli Udus. I Mombu da subito hanno saputo creare un suono personale dove batteria e linee di sax creano un muro sonoro che arriva dritto alla parte ancestrale dell’ascoltatore. Ritualità e tribalismo sono punti forti della loro musica su disco e dal vivo. Prendendo l’irruenza del metal (anche se le chitarre nella versione live a due non sono contemplate e su album, le poche volte che ci sono, sono affidate all’ospite Marco “Cinghio” Mastrobuono) e l’abbattimento dei confini musicali di un certo tipo di jazz moderno (Zorn insegna), i Mombu si riconfermano con il loro secondo album Niger una band che sta focalizzando sempre più la propria visione e, state attenti, come una macchina da guerra, non sembrano intenzionati a fare prigionieri…
Cosa è successo nel periodo che separa il vostro esordio da Niger e come stanno andando le cose per i Mombu?
Luca T. Mai: Sono successe tante cose. Anzitutto l’uscita di Zombi nel 2012 che ha dettato un po’ le intenzioni per quello che sarebbe stato Niger. Abbiamo portato in giro per due anni il nostro set e in quelle che sono state quasi duecento date abbiamo capito cosa poteva funzionare e cosa no per il secondo disco. Per il resto continuiamo la nostra vita “on the road”.
Come mai avete sentito l’esigenza di registrare nuovamente il vostro album di debutto? Che tipo di contributi pensate abbiano portato i vari ospiti coinvolti?
Non eravamo soddisfatti dei suoni e si sentiva uno stacco troppo netto tra il disco e i live. Abbiamo remixato tutto cercando di dare una dimensione il più possibile aggressiva, che rispecchiasse appunto i nostri concerti. Gli ospiti ti aiutano sempre a capire quanto potenziale ci possa essere in quello che fai e quanto spessore si possa aggiungere.
A proposito di guest, anche nel nuovo disco appaiono due musicisti presenti su Zombi, Marco “Cinghio” Mastrobuono e Mbar Ndiaye: che ruolo hanno su Niger e cosa vi ha portato a collaborare nuovamente con loro?
Marco e Mbar sono i due “prolungamenti” di Mombu. Chitarra e percussioni sono strumenti che si integrano perfettamente con le nostre idee su Mombu e con quello che facciamo. In realtà, all’inizio, l’idea per Mombu era quella di fare un supergruppo di otto persone con cinque percussionisti, batteria, sax e chitarra, poi la nuda e cruda realtà ci ha riportato a terra e siamo partiti in due, ma non è detto che alla fine non si faccia. Abbiamo già dato vita a concerti con tre percussionisti e chitarra.
Quanto di quello che componete nasce da improvvisazione? Alle volte pezzi come “Niger” mi fanno pensare che utilizziate una base ripetitiva su cui improvvisare. In che modo organizzate il tutto, una volta che le idee prendono forma?
Poco nasce dall’improvvisazione. In realtà arriviamo in sala prove con idee chiare, che siano un riff o un ritmo, questo perché fin dall’inizio ci siamo detti che la musica che avremmo fatto doveva unire due componenti fondamentali, ovvero ritmiche afro e “metal”. Questo toglie spazio a un sacco di perdite di tempo.
Niger sembra avere un suo andamento ben preciso (qualità già riscontrabile nel vostro debutto): possiamo definirla una caratteristica precisa dei Mombu, frutto di una precisa volontà? Nel qual caso, che tipo di valore aggiunto credete possa portare a un album il possedere una sua fisionomia d’insieme ben definita?
L’idea è che un nostro lavoro debba avere un unico respiro e – come dicevo prima – non deve disperdersi in mille rivoli che portano via l’immediatezza di un’intenzione. Non so te, ma non sopporto quelli che iniziano un discorso e da quello ne aprono altri cinque insieme e non arrivano ad una conclusione, vagando senza meta e soprattutto senza dire nulla. Non penso sia un valore aggiunto, è solo mantenere il focus su di un discorso e sviscerarlo in maniera chiara.
Il vostro stile trova radici nel jazz e nella musica africana. In che tipo di filtri sono passate queste influenze, per diventare Mombu?
Io nasco come metallaro che poi è approdato ad altra musica, al jazz. Poi ci sono altri tipi di filtri che non sono strettamente legati alla musica, come letture, film, esperienze e una sana dose di incazzatura perenne per tutte le ingiustizie che subiamo.
Le grafiche che utilizzate fanno pensare a un vostro interesse per il lato più occulto della cultura africana. Quale aspetto in particolare vi affascina di più?
Ci piace il lato rituale della musica che ancora esiste in alcune zone dell’Africa e che ogni aspetto della vita sia vissuto e accompagnato dalla musica, dalla nascita alla morte. In particolare per Niger ci siamo voluti ispirare ai quadri che facevano in Ghana e che venivano usati per pubblicizzare i film. Siccome insieme a questi ultimi non arrivavano le locandine, venivano reclutati artisti locali che dipingevano quadri a olio con i soggetti delle pellicole.
Nel primo album ci sono ringraziamenti a tutti i Loa, gli spiriti del Voodoo. In che modo siete interessati da questa religione?
Lo abbiamo fatto anche per evitare fraintendimenti con chi sta veramente dentro a questa religione. Non ci interessa la musica solo come aspetto ludico. Ci sono tante cose che la musica veicola senza che ce ne rendiamo conto, che è lo stesso non rendersi conto che noi respiriamo. Diamo per scontato il fatto di inalare l’aria e lo facciamo inconsapevolmente per migliaia di volte al giorno, senza sapere che con questo naturalissimo gesto possiamo avere benefici ed esperienze meglio che con alcune droghe e pervenire ad alcune conoscenze invisibili allo stato normale. C’è chi ne ha fatto una base religiosa, chi una scienza e cosi pure è la musica. I riti religiosi e il voodoo senza musica non sono nulla ed è per questo che i Mombu sono interessati ad ogni aspetto magico religioso legato alla musica.
“The Devourer Of Millions” fa pensare ad una divinità temibile e vendicativa. Quali sono i retroscena di questo pezzo?
Dici bene. Sono contento che hai colto questa cosa perché in effetti si “parla” di Hammit, sorta di divinità mostro che assisteva alla pesatura del cuore dell’anima del defunto di fronte a Osiride e a Maat. Se il cuore pesava più di una piuma di Maat l’anima non continuava a vivere ma veniva data in pasto ad Hammit. Per questo veniva definita la divoratrice di milioni.
Come vi muovete per portare su palco la vostra musica? Mi spiego, preferite un approccio free e aperto all’improvvisazione o preferite riportare quanto più fedelmente possibile l’atmosfera e le strutture del disco?
Cerchiamo di creare come il disco un’onda unica che va dal primo pezzo all’ultimo senza mai mollare l’osso. Ci sono delle parti aperte che sono i soli e la lunghezza di questi dipendono da quanto siamo ispirati a dire qualcosa di sensato. Questa è l’unica cosa che cambia per quanto riguarda la lunghezza dei pezzi su disco.
Il tour è già partito: come sta andando? Che tipo di pubblico viene ai vostri concerti?
Sta andando bene. Siamo stati per due settimane all’estero e la risposta è stata oltre ogni nostra aspettativa e pure ora che stiamo in giro e ti scrivo da un ufficio di un hotel a Ferrara la risposta del pubblico anche da noi è molto calorosa.
Grazie mille, a voi le conclusioni.
Grazie a voi e che Mombu rischiari il vostro spirito come una buona dose di psilocibe rischiara il nostro orizzonte e rende più lieve e ricca la nostra vita su questa terra.