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MINKIONS, Distorted Pictures From Distorted Reality

Distorted Pictures From Distorted Reality

L’inconfondibile tratto di Gaither sul logo (The Accüsed, of course), la copertina che richiama senza mezzi termini l’immaginario thrash-core anni Ottanta, il foglio interno con i testi scritti su pezzi di carta strappata e il collage di foto, la stessa immagine della band sul retro copertina: tutto grida ai quattro venti cosa ribolle nel dna di questa formazione, dedita ad un feroce crossover tra hardcore e thrash, in grado di arrivare dritto come un pugno allo stomaco e con un’incredibile carica di adrenalina. Da qui a seguire è tutto un godere tra cavalcate furiose e stacchi improvvisi, riff grattugiati e voce rabbiosa passata sulla cartavetrata, non manca nulla, neppure qualche passaggio ricco di groove o qualche apertura arpeggiata a variare il menù e rendere questo album un centro perfetto. Certo, qualcuno solleverà il dibattito sull’originalità e sulla mancanza di attualità di certi suoni, ma verrà zittito dalla personalità e dalla passione con cui i Minkions riescono a rendere il proprio repertorio vicino allo stato dell’arte, pura festa per gli orfani di un linguaggio che in troppi tentano di imitare senza la giusta credibilità. Verrebbe da dire che alla prova dei fatti gli allievi superano i maestri, per lo meno quelli di oggi troppo spesso appesantiti dagli anni e incapaci di trasmettere l’originale furia del tempo, tanto questo vinile riesce a bucare lo stereo e invadere la stanza, trascinandosi via ogni futile discorso accademico. In soldoni, ci si trova di fronte ad un lavoro curato in ogni minimo dettaglio e capace di resettare le lancette quasi fosse la cosa più naturale da suonare qui e oggi, nulla di più difficile quando si maneggiano certi ingredienti e si decide di scendere in campo sotto la bandiera del bandana-thrash (come piace chiamarlo a noi). Se questa è la vostra tazza di the, lasciate stare i tanto pompati nomi stranieri che hanno di recente saturato il mercato e rivolgetevi da questa parte a scatola chiusa, erano anni che non scattava così facilmente l’headbanging.