MIND/KNOT, Eat The Leaf
Di questi giorni si fa un gran parlare di anni Novanta e di come in quel decennio si fosse assistito ad una nuova esplosione della scena hardcore, non solo grazie ai vari libri a tema ma persino con un ritorno a certe sonorità che guardano dritte in faccia quel periodo. Eat The Leaf, al contrario ci riporta ancora più distante, con un tuffo alle origini del tutto e lo fa con una naturalezza che finisce per spiazzare l’ascoltatore per la sua assoluta mancanza di tentennamenti nell’adozione di uno stile ormai più che storicizzato. I romani Mind Knot, difatti, pur suonando insieme solo da un paio di anni o poco più, hanno realizzato un disco che farà la gioia di ogni amante del vecchio hardcore punk, quello che i D.O.A. hanno consacrato con il titolo dell’album “Hardcore ‘81” e che i tre sembrano aver assunto a proprio motto, con undici brani che raramente guardano oltre la prima metà degli anni Ottanta, spesso anzi sembra addirittura di essere a cavallo tra questi e il decennio precedente nell’istante preciso in cui negli States nasceva quella mutazione punk che avrebbe segnato e continua a segnare la vita di moltissimi ragazzi. Black Flag, D.O.A., Adolescents, Gang Green, Poison Idea, la primissima scena DC, queste le coordinate lungo cui si muovono le tracce di un lavoro che sembra in tutto e per tutto venire fuori da una qualche macchina del tempo ma riesce a non suonare manierista o costruito a tavolino, quanto frutto di un’urgenza impellente, quasi si trattasse della scelta più attuale possibile per esprimere un senso di disagio palpabile con la società moderna che stritola l’uomo in un vortice di consumismo e capitalismo fino a spingerlo verso l’autodistruzione. Il bello è che Eat The Leaf non fatica a rapire l’ascoltatore e portarlo indietro ai primi Ottanta nello spirito e nell’attitudine pur senza distrarlo dai problemi dell’oggi e dalla necessità di continuare a combattere con la stessa foga di quei primi “hardcore kids”. In fondo, tra tanti che continuano a discutere di superamento delle ideologie, abbandono dei vecchi metodi di lotta, necessità di aggiornare la propria agenda, potrebbero persino aver ragione loro nel sostenere la necessità di un ritorno alle radici del cambiamento, a quella scintilla che costringeva a farsi le cose da soli e ad agire in prima persona anche nelle piccole cose per cambiare la società. Di certo, ascoltare un album come questo ha un effetto salutare, riconciliante e persino rinvigorente, come il bicchiere della staffa che si prende prima gettarsi nella mischia. La scrittura brucia di passione genuina e il tutto funziona come dovrebbe, merito di un suono dotato della giusta sporcatura e al contempo potente, fattore che aiuta non poco a gustarsi il menù proposto e apprezzarne le varie sfumature. Non solo promosso ma perfino consigliato, con buona pace di un evidente paradosso temporale che Eat The Leaf porta con sé.