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MIKE COOPER, Astrosurfing

Forse non tutto è perduto. Forse tutta quell’umanità distratta (di cui facciamo parte), ripiegata, ingobbita e allettata sui propri dispositivi ha ancora qualche possibilità. Forse quel navigare inutile nel mare di fuffa mediatica che si moltiplica all’infinito potrebbe al fine raggiungere qualche approdo: come un buco nella rete che conduce ad un passaggio dimensionale da dove rimirare un nuovo orizzonte!

Metti caso, per esempio, di trovarti in qualche luogo di transito come il salone affollato di un aeroporto o la sala d’aspetto di una stazione e di soffermarti a notare la folla in attesa che si trastulla prona sul proprio cellulare, intenta a riempire il tempo di vuoto riverberante e magari aguzzare lo sguardo per osservare un signore incanutito, con una smagliante camicia hawaiana e una paglietta in testa, anch’esso rapito dal proprio telefono. Ecco, metti caso che quel signore sia Mike Cooper e che quel suo temporeggiare in attesa dell’ennesimo spostamento planetario sia un’istante creativo scaturito dal suo iPhone e dall’applicazione “applicata” di una lap & pedal steel guitar virtuale. Ho perso anch’io un po’ di tempo chino controllando: in rete ne esistono più di quante se ne possano immaginare. Forse poco più che un gioco per la maggior parte di noi, ma non certo per Mike Cooper.

Nasce così Astrosurfing (Bandcamp, 2020). Quattro lunghi brani composti, eseguiti e registrati utilizzando un’iPhone. Una app, qualche effetto digitale e 50 anni di una carriera straordinaria. Solo l’ultimo ingrediente non è davvero alla portata di chiunque. Corde, chitarre, elettroniche, delay, field recordings ed esotismi assortiti rappresentano l’armamentario con cui Mike Cooper ha deciso di combattere i mulini a vento della noia e da quelle pugne sono nati trastulli mesmerici (“Rayon Hula”, per chi scrive, è l’isola deserta sulla quale non è necessario portarsi nessun disco). Ma siccome il nostro viaggiatore errante è molto più curioso e folle di chi lo ascolta, ecco che ritorna ancora una volta bambino e si mette a giocare con il telefono, abbandonando le solite armi, e da quelle diavolerie applicate ne estrae un disco che neppure gli sviluppatori del software si sarebbero attesi!

Astrosurfing ribolle, titilla e riverbera in un moto immobile di corde silicee stirate ed espanse. E, fedele al proprio titolo, inventa navigazioni siderali che ci riportano un’exotica proveniente da un continente astrale di là a venire, un luogo scoperto e colonizzato da Sun Ra al quale, approdando umilmente, Mike Cooper pone la semplice questione sul perché non abbia mai utilizzato la pedal steel nella sua Arkestra. E poi, come spesso fanno i fanciulli nel gioco solitario, si risponde da solo: maybe it had to much association with country music for Sun Ra? Poco importa, il trastullo riprende, si procede surfando senza meta in territori improvvisati e solamente il tempo degli adulti costringe a limitare il deliquio infantile in quattro composizioni numerate (soltanto l’ultima reca una dedica a Heather Leigh che, assieme a Susan Alcorn, rappresentano le avengers della pedal steel guitar).

Siamo stati tutti bambini, siamo tutti caduti nel buco immaginifico del gioco solitario e forse, a volerci perdonare un poco, prostrati davanti a quegli smartingegni non facciamo altro che giocare: ma se si mette a giocare un fanciullo classe 1942 forse non tutto è perduto!