Mika Vainio, il capo della bora
Rovereto, Mart, 14/6/2013.
La cornice è Rovereto, nella favolosa sala conferenze color noce del Mart. Il contesto è quello del festival “Futuro Presente”, un “laboratorio permanente sui linguaggi contemporanei”. Mika Vainio (Pan Sonic, Ø) prosegue il suo percorso in solitaria, questa volta incontrando le arti visive grazie alla collaborazione con Yuri Ancarani. Ancarani, di Ravenna, è un indefinibile dell’immagine in movimento: l’unico denominatore comune del suo lavoro sembrerebbero essere situazioni-limite, distanti dalla quotidianità. Questo si riflette anche sulla scelta dei collaboratori musicali. Prima di Vainio, se la memoria non m’inganna, ha lavorato non a caso con Stephen O’Malley e Ben Frost. In un certo senso drone, rumore e silenzi sono il suo pane quotidiano, basta vedere il primo cortometraggio proiettato, “Il Capo”, che racconta degli scavi nelle cave di marmo (Monte Bettogli, ovviamente Carrara). Il protagonista, muto, segnato nel volto e nel corpo (gli mancano delle falangi), è avvolto nel suono continuo dei macchinari, estremo quanto il paesaggio d’accecante biancore (di pieni e vuoti, appunto, è fatto anche il mondo ambient/noise).
Il secondo lavoro è “Bora”, cioè il vento che d’inverno arriva da Nord Est e s’abbatte su Trieste, dove vivo (Stendhal scappò via dalla città per questo, per dire di uno famoso). La bora è così potente che diventa con pieno diritto una delle sorgenti sonore che entrano nel mix di Mika, chiamato a essere il protagonista “live” dell’opera d’arte. Il video rappresenta il paesaggio scabro e raw del Carso, qualcosa del tutto coerente con l’estetica spoglia dell’ex Pan Sonic, che stasera deve far meglio del suo predecessore Stephen O’Malley, in una situazione nella quale – secondo Ancarani stesso – finalmente le visuals hanno un vero senso nella performance. Il video mostra in crescendo la potenza del vento, al quale la vegetazione macilenta del Carso s’oppone come può. Tutto qua, nudo per scelta ed efficace per questo. L’unico “artificio” nasce dalla scoperta del cippo con la stella rossa yugoslava (Trieste, identità di confine), che Ancarani recupera trasformandola nelle stelle della Paramount (una Paramount titina, ça va sans dire) che girano intorno a un cucuzzolo della Val Rosandra, sito protetto – recente oggetto di scempio da parte di alcuni amministratori locali (c’è un processo in corso) – dove tutto è stato girato. In crescendo (altro topos noise) è anche la performance di Vainio, che inizia con qualche pulsazione e basse frequenze spaccapavimenti, per poi unirsi in corso d’opera al soffio della bora, regalandogli pansonica elettricità e trasformando la Val Rosandra in un satellite di Giove o in una Terra distrutta dalla guerra nucleare. Unica critica: i volumi troppo bassi. Gli organizzatori avevano avvisato il pubblico del rischio di rimanere feriti dal suono, invece è mancata un po’ di fisicità, almeno a chi – più appassionato di musica che di video – negli anni s’è beccato Merzbow, Brighter Death Now, Sunn O))), Haino… Non è una questione di farsi grossi con nomi esoterici, è solo che il volume per questi artisti è uno degli ingredienti fondamentali. Per il resto, matrimonio perfetto e un’ottima idea per “educare” (più di quanto già non stia succedendo autonomamente) il pubblico dell’elettronica alla videoarte, e viceversa, anche grazie al dibattito con un divertente Ancarani.
La prossima volta facciamolo a Trieste coi Wold, dai.