Mika Vainio @ All Frontiers, 12/12/2014
Gradisca (GO), Sala Civica Bergamas. Grazie ad Angelo Salvin e all’organizzazione del festival per le foto a corredo dell’articolo.
All Frontiers, cioè “indagini sulle musiche d’arte contemporanee”, è un festival nato venticinque anni fa sul confine, a Gradisca (provincia di Gorizia). Ieri le star sono state il sassofonista Peter Brötzmann (padre di Caspar) in coppia col batterista Steve Noble (un’epifania, dopo anni che ne sento parlare), due trattori impro che hanno fatto la gioia degli appassionati di free jazz, ma anche quella dei nostalgici dei Painkiller. Mi sarebbe piaciuto portare al concerto anche i Dead Neanderthals e vedere se si fossero messi a piangere. A me qualche lacrima è scesa, per un semplice motivo: l’urgenza che avevano di suonare era quasi irreale, ed erano praticamente appena scesi dal taxi, dati i mille contrattempi causati dal sacrosanto sciopero generale italiano. “Urgenza”, non a caso, è una delle parole chiave per capire All Frontiers. Scontato, quindi, vederli poi “bissare” uniti al complesso jazz dei ragazzi di DobiaLab (che aveva performato in precedenza), realtà associativa di queste parti chiamata quest’anno per la prima volta a portare un proprio contributo all’evento. Stesso discorso per i friulani di Hybrida, che hanno ideato e curato il light show a corredo della serata.
Domani toccherà a Giovanna Marini (e al Coro Arcanto), sulla quale non ho davvero competenza alcuna. Ecco perché preferisco, il più onestamente possibile, concentrarmi su questo sabato, esempio dell’enorme capacità dell’organizzazione di incastrare pezzi che non sembrano dello stesso puzzle, creando disegni che non avevamo ancora immaginato. La giornata è un tributo a Fausto Romitelli, compositore goriziano – scomparso a quarant’anni nel 2004 – solo di recente messo nella giusta luce (anche) con un libro che raccoglie gli atti di un convegno su di lui, svoltosi sempre a All Frontiers, ma edizione 2013, e presentato oggi, prima dei concerti. Romitelli, che proveniva dall’accademia, diceva di essersi ispirato pure ai Pan Sonic per la sua ultima opera (“An Index Of Metals”). Di sicuro aveva creato un ibrido molto intrigante tra classica, ambient, noise e generi limitrofi, quindi stasera Mika Vainio è l’ospite perfetto.
Si inizia al buio, con frammenti di una nuovo lavoro di Carlo Barbagallo (lo stesso di Noja Recordings): “musica acusmatica”, dice il direttore artistico Tullio Angelini. Tocca poi al sorprendente Quartetto Maurice, che esegue un lavoro giovanile di Romitelli (“Natura Morta Con Fiamme”) in grado di far capire subito perché sia il caso di non dimenticarlo: è una manciata di minuti che divengono secondi, con l’ambience (sempre a firma Barbagallo) che pare un Lustmord apocrifo e i quattro archi dissonanti che bruciano tutto con grande rapidità. Esibizione sorprendente.
Nessuno sale sul palco adesso, perché sul telone si proietta “Lichtspiel” di László Moholy-Nagy, cortometraggio del 1930 (quasi videoarte prima della videoarte) al quale Romitelli pensò di dare una colonna sonora con flauto, percussioni, fisarmonica, chitarra e pianoforte.
Tocca al finlandese di stanza a Berlino. Il concerto spazia tra la sua recente produzione solista, giocata su silenzio e rumore, più ambient ed essenziale rispetto a quanto suonato con Ilpo Väisänen nei Pan Sonic (assente l’elemento techno), più irrequieta ancora, se si considera che la sorgente di alcuni campionamenti che sentiamo è – stranamente, per lui – una chitarra, come intuibile trattata in modo per nulla ortodosso. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, basta procurarsi l’eccellente Life… It Eats You Up, disco per Mego di pochissimi anni fa, al quale appartengono alcuni frammenti del live di stasera. Tutto ciò non vuol dire che manchi la potenza e che le casse (letteralmente, a un certo punto) non puzzino di bruciato: per caso chiudo gli occhi per più di qualche secondo e una pulsazione mi colpisce a tradimento in pieno petto, rammentandomi la fisicità che quest’uomo è in grado di ottenere dalla sua strumentazione analogica. La volontà di coinvolgere il corpo c’era anche in Romitelli (al quale l’esibizione del finlandese è un tributo), che evidentemente cercava di emanciparsi dai formalismi impalpabili dei suoi studi più tradizionali, e Vainio questa sera ce lo fa capire, con un set rarefatto solo in apparenza, ma pronto in ogni momento a tagliarci in due.
Altra pausa, è la volta di Lucia D’Errico e la sua chitarra torturata, messa in loop, suonata con un archetto, tutte metodologie che chi ha mangiato un po’ di noise ormai ha ben presente. Eppure si tratta di “Trash TV Trance” di Romitelli stesso, almeno per quanto posso intuire dai gesti iniziali, che consistono nello staccare brutalmente il jack dallo strumento, per poi rimettercelo con gesti altrettanto imprecisi, con le ovvie conseguenze disgreganti. Anche in questo caso performance breve, rispettosa dell’impostazione a fiammate della serata.
Ultima interruzione e Vainio e il Quartetto Maurice improvvisano assieme. Il modo con cui i ragazzi torturano i loro archi somiglia a ciò che Balanescu ha realizzato per Teardo nella colonna sonora di “Diaz”. Mika si limita quasi sempre a uniformarsi a questi glitch di unghie e archetti con microsuoni molto alti che ci arrivano dalle casse poste alle nostre spalle. Non alza mai davvero il volume, anche se in un paio di occasioni lascia credere che le sue onde possano travolgere i musicisti seduti davanti a lui. L’equilibrio non si spezza, però: l’esperimento tende l’elastico, ma non lo rilascia contro gli spettatori, il che è il bello e un po’ anche il brutto di questa parte finale del tragitto.
Al solito, un piccolo miracolo in una città dalla quale si entra e si esce facendo mezza curva. Abbastanza buona la risposta del pubblico, estremamente rispettoso e civile, composito quanto a età (qualche giovane e qualche posto occupato in più sarebbero stati l’ideale). Ancora una volta esco cresciuto dalla Sala Civica Bergamas.