Metal Punk Inferno, 27/8/2016
Recanati, Circolo Dong. Foto di Marco Pasini.
Il circolo Dong apre oggi i battenti al festival Metal Punk Inferno: un’occasione decisamente ghiotta, al netto di un paio di defezioni last minute prontamente coperte, per osservare in azione gruppi differenti per approccio alla materia sonora eppure affini per attitudine diy e passione genuina. Da notare come l’affluenza sia stata buona sin dal pomeriggio e abbia permesso d’iniziare le ostilità a orario pressoché esatto, con conseguente svolgimento entro le tempistiche stabilite e nessuna esibizione slittata a orari improbabili, segno che la politica del circolo e la proposta odierna hanno pagato anche sull’apparentemente invincibile usanza di arrivare ai concerti solo dopo il tramonto. Per quanto concerne l’aspetto musicale, abbiamo già sottolineato la ricchezza della proposta, capace di far convivere all’interno dello stesso festival formazioni dal taglio old-school e derive più contaminate, gruppi metal e hardcore, ritmi serrati e tempi dilatati, a partire del d-beat dei Polis Ackel, che riversano sui presenti una sana dose di hardcore ruvido e diretto, rumoroso e sferragliante come si conviene ad una formazione che fa dell’impatto frontale il proprio punto di forza. Inizio perfetto con la giusta carica e la botta d’adrenalina necessaria per affrontare l’intero banchetto.
Dopo di loro si cambia prospettiva coi Montana, con la formazione rinnovata e uno stile tanto difficile da etichettare quanto coinvolgente. La band non fatica a colpire i presenti grazie a un frullato che miscela in modo equilibrato hardcore punk, garage, rock’n’roll e spruzzate noise. Divertenti e irriverenti, ma non per questo meno caustici e incisivi, rappresentano una garanzia anche nella nuova veste.
Gli Straight Opposition festeggiano i dieci anni dall’uscita dell’album Step By Step e si confermano paladini di un hardcore old-school e anthemico, con brani ricchi di groove e cori da indice alzato come da migliore tradizione. I presenti gradiscono e non mancano parole importanti sul senso di un linguaggio che non vuole e non deve essere solo musica.
Decisamente più difficile da inquadrare lo stile dei Northwoods: il loro mix di postcore e metal, noise e derive math beneficia dell’acustica “open air” che permette di cogliere le varie sfumature del suono pur senza smussarne l’impatto frontale. Davvero un esempio di contaminazione personale e al di fuori dai soliti schemi, ma non per questo meno fruibile. Promossi anche in sede live.
Con l’arrivo del buio si entra nella seconda metà del concerto con le sonorità doom dal taglio psichedelico messe in campo dai Funeral Marmoori (direi che c’è anche un retrogusto horror di pura matrice Seventies). La band non sa bene cosa aspettarsi perché il resto del cartellone viaggia a velocità ben più sostenute, ma il pubblico presente dimostra di gradire e si lascia trasportare dalle note liquide e dai riff rocciosi dei fiorentini, tanto che alla fine richiede un bis a gran voce.
Altro giro, altra variante del suono estremo: i Rabid Dogs sono artefici di una gustosissima ricetta a base di grind’n’roll, stoner e strizzate d’occhio alla Scandinavia (Hellacopters in testa), impossibile non lasciarsi coinvolgere da un gruppo che da sempre fa riferimento all’immaginario pulp e ha dedicato un “concept ep” allo sceneggiato “La Piovra” (da cui stasera verranno presentati vari estratti). Irresistibile è l’unico aggettivo che si adatta alla loro esibizione, si divertono e fanno divertire i presenti.
Con gli Hobos il livello di cattiveria si innalza ulteriormente, il batterista non lascia spazi per prendere fiato e si candida a eroe della giornata con una prestazione da standing ovation. Non da meno i suoi compagni, che riversano sulla folla uno tsunami di thrash-core travolgente e devastante come un fiume in piena. Mi avevano detto che dal vivo facevano sfaceli, ma quello cui assistiamo stasera va oltre le aspettative, assolutamente da non perdere se vi capitano a tiro.
Finale all’insegna del puro thrash old-school dal piglio teutonico e poco incline a perdersi in divagazioni dal raggiungimento del bersaglio prestabilito, ovverosia il tributo ad una forma di metal che da sempre ha saputo guadagnarsi il rispetto della scena hardcore con cui ha spesso flirtato. Un improvviso problema elettrico non smorza la foga dei Violentor, che dopo una pausa forzata riprendono il suo sporco lavoro e lo porta a termine senza mostrare segni di cedimento.
Al di là del successo della serata e della buona affluenza di pubblico che ha supportato in modo costante e attento l’intero festival, ciò che preme sottolineare è come proprio la diversità degli stili proposti dai protagonisti e la ricchezza del menù hanno offerto la classica marcia in più e reso questa un’occasione da ripetere quanto prima. Bene così.