MERZBOW + BOLOGNA VIOLENTA, 9/4/2012
Bologna, XM24.
Pasquetta all’insegna del rumore, questa proposta dai tipi dell’ex mercato.
Dopo aver perso la breve introduzione (ci dicono harsh noise) di Molestia Auricularum, attardati a curiosare tra i banchetti delle distro presenti nel cortile, ci imbattiamo nella creatura di Nicola Manzan. Il posto è già pieno di gente che ascolta divertita la prova del violinista trevigiano, concentrato nell’inscenare il suo breve set composto da thrash metal assurdista e voci estrapolate da film italiani di serie B. L’approccio è di tipo quasi dada, un taglia e cuci ossessivo di coperte ritmiche al limite del parossismo (voluto) accompagnato dalla voglia di ri-attualizzare lontani e bistrattati linguaggi cinematografici. Il ripescaggio risulta funereo, volutamente ironico (questo elemento non è mai un male, anzi) e felice nell’intento iniziale, peccato però che alla lunga mostri un po’ la corda, perché la formula sembra troppo uguale a se stessa. Legittimo certo farlo da italiano, perché quelli sono i suoi/nostri sacrosanti codici. Per dovere di cronaca va aggiunto che cose più o meno simili le faceva Mike Patton col primo disco dei Fantomas qualche anno fa.
Dopo mezzora di attesa, arriva col suo zainetto il globetrotter nipponico Masami Akita, meglio conosciuto come Merzbow. Il tempo di sistemare il laptop e la sua toy-guitar che più strana non si può, e si parte in quarta, senza troppi preamboli. Il set, della durata di circa quarantacinque minuti, è una delle cose più violente alla quale abbiamo mai assistito. Solo Keiji Haino e Pan Sonic sono riusciti a fare più rumore fino ad ora, almeno per chi scrive. Dunque, la musica dell’artista che viene dal Sol Levante è, si sa, un esperimento riuscito di paurose onde elettr(on)iche che si intersecano nel monolite noise che mette in pratica. Lunghi bordoni para-metal affogati in un mare nero pece composto di ritmiche che faticano ad affiorare, un melmoso ed insistito blob dal sapore arty che non fa prigionieri. L’effetto catartico è garantito (intravediamo in prima fila l’ormai bolognese e attento John Duncan), le orecchie tendono ad essere torturate di continuo, ma l’impassibilità che l’uomo mostra di fronte a cotanta furia esecutiva la dice lunga sul suo conto. Akita estrae per un attimo il suo “caos” mostrandocelo cosi com’è, con la grazia dei gesti che lo contraddistingue. L’impianto del locale, purtroppo, non permette di godere appieno di quanto architettato dal Merzbow, perciò l’act è riuscito solo in parte, anche se dopo ce ne torniamo a casa seviziati e contenti.