MENK, II

Jurij Titov e Kirill Pomelov si incontrarono per la prima volta in un locale underground di San Pietroburgo gestito da Titov nel 2017, inaugurando un’amicizia prolifica, almeno dal punto di vista musicale. L’intesa comune tra i due nasceva soprattutto dall’amore per il primo progressive europeo, in particolare quello svedese, tedesco e britannico e da qui decisero di fondare una band, i Menk. A giudicare dall’ascolto del primo Лопасти Будды (Lopasti Buddhi), si direbbe i Menk sono ispirati da Träd, Gras Och Stenar, Pärson Sound, Guru Guru e Procol Harum: psichedelia di fine anni Sessanta dilatata e caleidoscopica, riproposta nel secondo II, pubblicato da Cardinal Fuzz nell’ottobre 2021. Pomelov alla batteria e alle percussioni, mentre Titov si occupa di chitarre, basso (c’è persino il koto), della produzione e del mixaggio dell’album: ancora rock psichedelico che vola acido tra prog (““Glaza”) e psichedelia astrale (“Blaazh”), ma non si risparmia momenti più arabeggianti (“Ten”) o sontuosi intervalli folk (“Po Mokrim Krisham”, “Pustota”) o integra elementi hard e kraut (“Son”, “Holod Kamney” e “Narayana”) e raga-rock (“Rassvet”). Ottima prova, registrata in massima parte con un Tascam, che contribuisce con una qualità sonora a bassa fedeltà a restituire la sensazione di ascoltare un’oscura band del passato. I Menk si posizionano vicini alla psichedelia di Kikagaku Moyo, Dhidalah, Asteroid N. 4: la prima ideale tappa di un viaggio verso l’Oriente psichedelico.