GIOVANNI LAMI, मेम वेर्म [mema verma]
Esteriormente e interiormente ispirato alla cultura indiana, मेम वेर्म [mema verma] di Giovanni Lami si presenta subito – tramite i suoni/non-suoni dello shruti box – come un viaggio trascendentale e spirituale verso orizzonti sconosciuti. Composto e registrato nella primavera del 2011, mema verma è rimasto chiuso in un cassetto per ben due anni, per poi essere riportato alla luce nel 2013, come un tesoro nascosto destinato ad essere ritrovato. Questo disco, infatti, meritava di uscire allo scoperto perché non è un disco come tanti, ma come pochi.
L’lp, dopo essere stato stampato nell’edizione limitata di 300 copie dalla Handle With Care di Berlino, è uscito il 23 maggio per l’etichetta trentina Kohlhaas. Diverso da tutti i lavori finalizzati o pubblicati prima da Lami, म म व म [mema verma] è il frutto di collaborazioni interessanti, che hanno rafforzato le idee alla base del lavoro: Giuseppe Ielasi si è occupato della masterizzazione del disco, Giovanni Battista De Pol/Dead Meat ha curato tutta la parte grafica del package, CORPOC ne ha realizzato le stampe serigrafiche, Natália Trejbalová, infine, ha appositamente creato i visual per il live, cercando di mantenere il rimando alla scrittura sanscrita che sta alla base del progetto ed è di importanza rilevante fin dalla copertina. Quest’ultima, infatti, presenta uno sfondo bianco su cui appare la scritta rossa मेम वेर्म, che – con la prima parola sopra e la seconda capovolta e rovesciata sotto – è la traslitterazione in sanscrito delle parole “mema verma”. Che cosa significano? In realtà non significano niente. Come c’è scritto pure su Bandcamp, sono una sorta di “grammelot” senza senso (ossia intreccio di lingue/dialetti e parole inventate), privo di significato ma di gran gusto estetico. Non solo il titolo dell’album, ma anche i nomi delle tracce, pur essendo tutte parole collegate al linguaggio indiano, sono inventati e non esistono né in Hindi o Bengali, né in altri linguaggi territoriali, eccetto il primo pezzo [kīṭa gīta], che significa “la canzone dell’insetto”. Questo nonsense esterno del significante e del significato rispecchia il nonsense interno della composizione: un senso estraneo alla tradizione, ma radicato nell’elettroacustica e in quella pasta sonora di cui si occupa Lami stesso.
Senza un senso tradizionale, le registrazioni grezze di mema verma si sviluppano attorno allo shruti box, strumento indiano fatto di legno e con un mantice simile a quello della fisarmonica, che viene suonato da Lami senza emettere alcuna nota, o meglio senza produrre gli armonici che gli sono propri, mantenendo dunque un’intonazione più bassa rispetto agli standard tradizionali. Snaturato, quindi, è come se venisse suonato senza essere suonato, anche se in realtà bisogna continuamente pompare i battiti prodotti dal suo mantice quando soffia. L’originalità sta proprio in quest’utilizzo non ortodosso, che non gli fa fare più semplicemente da accompagnamento musicale come nella tradizione indiana, ma lo eleva a strumento principe. Sono pochi, infatti, i campionamenti fatti al pc, contenenti comunque i soffi e i fischi generati dalle ance e dal corpo stesso dell’oggetto. Inizialmente lo shruti box e il rumore bianco prevalente si confondono: questo fa sì che l’atmosfera si tinga fin da subito di un colore scuro, intriso di una spiritualità molto profonda, se non addirittura ultraterrena. Poi, però, il primo prende il sopravvento e i suoi suoni diventano sempre più rarefatti e corrotti, fino a creare nell’ultimo pezzo un drone grezzo e quasi statico, che dà l’idea di un qualcosa che si deteriora.
Al primo ascolto, coi suoi mille suoni-non suoni e le sue mille gradazioni/sfumature, mema verma può scatenare anche reazioni contrarie, ma alla seconda o alla terza riproduzione, nulla sembrerà più come prima. È come se i contenuti acustici di questo disco mutassero a più livelli: se fossero degli oggetti, ad esempio, sarebbero rotti in mille pezzi; se fossero dei colori, invece, presenterebbero diversi valori di gamma; se fossero delle immagini, infine, avrebbero i pixel danneggiati. Come un video di Ryan Trecartin o un film di David Lynch, mema verma riesce a trasformare l’immaginazione in realtà e la realtà in immaginazione. Non basta dunque ascoltare questo disco una volta soltanto, non perché sia troppo difficile da comprendere, piuttosto perché è in continua evoluzione e sembra non avere una fine anche dopo la sua conclusione.
मेम वेर्म [mema verma] è già rimasto chiuso in un cassetto per ben due anni: non merita di rimanere là dentro un secondo di più.