Mayhem – De Mysteriis Dom Sathanas tour, 7/4/2017
Salcano (Nova Gorica), Mostovna. Grazie Andrea Stoppa per le foto.
Il Mostovna è un posto fondamentale per l’estremo Nord Est e per il Nord Est estremo. Terribile vedere che quando si pubblicizzano le date italiane di un gruppo nessuno lo includa mai, nonostante sia un metro fuori da Gorizia e dall’Italia. No, non mi regalano birre, penso solo che sia un locale con dei grossi meriti per una zona depressa musicalmente come quella in cui si trova, dato che ha portato sul suo palco Agalloch, Marduk, Cannibal Corpse, Paradise Lost, Moonspell, Today Is The Day, Pentagram, Nile… Credo inoltre sia giusto precisare che non ha responsabilità per il casino di cui sto per parlare.
Avevo già visto due volte – e con soddisfazione – i Mayhem, una al Primavera in mezzo a fan perplessi di Grimes, e una al fu Pieffe Factory, sempre a Gorizia (il ragazzo che organizza oggi è lo stesso di quella volta, ed è uno dei giusti) e l’idea di beccare il tour celebrativo di De Mysteriis Dom Sathanas non mi faceva impazzire, perché davvero troppo paracula: quel disco e la sua storia cruenta e senza senso sono certo il motivo che per anni ha spinto la gente a comprare gli album successivi della band e andare a sentirla, ma in realtà ora come ora questi signori adulti non hanno bisogno di riesumare cadaveri per mangiare. Dovrebbero credere di più in loro stessi: quello che sale sul palco oggi è un supergruppo (alludo alla presenza del chitarrista dei Nidingr Teloch, ma anche a quella di Attila Csihar stesso, per certi versi) messo su da Hellhammer, batterista storico dei Mayhem, oltre che pilastro del genere, che ha mantenuto lo stesso nome per ragioni di opportunità commerciale e che in qualche modo prova a interpretare “l’idea-Mayhem”, pubblicando dischi clamorosamente superiori alla media come Esoteric Warfare del 2014 (ma anche Ordo Ad Chao del 2007), cosa che basta (o dovrebbe bastare) per mettere a tacere le critiche e le insinuazioni. Nei mesi scorsi, quando pian piano la gente di qua cominciava a parlare della data e a organizzarsi con gli amici, ho comunque scoperto che di questo discorso a nessuno fregava un cazzo (promoter, prendete appunti: anche in campo estremo vogliamo essere rassicurati), tant’è vero che tutti i metallari locali che conosco si presentano al Mostovna carichissimi: è sold out. Arrivo anche io, perché decido di provare a raccontare questa storia che sembra interessare a moltissimi e poi perché voglio vedere i Dragged Into Sunlight in apertura, mentre del terzo gruppo, gli Inferno, poco mi importa.
Gli inglesi danno le spalle al pubblico e a un gigantesco candelabro, che poi il cantante spegnerà personalmente per introdurre l’ultima parte del live. La loro esibizione è molto buona, ha impatto, è spettacolare visivamente, non solo per come i cinque si muovono e per il modo in cui hanno sistemato la scena, ma anche per l’uso semplice ma potente delle strobo. A descrivere cosa suonano ci ho già provato, posso dire che stasera vomitano tutto il loro armamentario, dai prologhi e dagli epiloghi drone/noise ai passaggi strumentali, dal death al black, dal doom e dallo sludge a quelle reminiscenze di un’origine probabilmente nella scena hardcore.
Breve pausa-sigaretta e tocca ai Mayhem. Mi trovo ad altezza fonico. Sul palco ci sono Hellhammer, molto in alto, nascosto dietro a un set di batteria che manco Portnoy, Attila mascherato a dovere, Necrobutcher (bassista delle origini, tornato dopo i noti episodi), Teloch e Charles ‘Ghul’ Hedger, onesto gregario che appare anche in un paio dei dischi dei tardi Cradle Of Filth. Può essere che il travestimento monacale sia stato portato in dote dal performer ungherese, vedi esperienza coi Sunn O))), ma non è decisamente questo l’interrogativo più importante della serata. Quello decisivo è: perché è come se stessero suonando “Funeral Fog” in un’altra stanza (di un’altra città) anche se li vedo davanti a me? Attenzione, nessuno venga a dire che il black metal è lo-fi, perché lo mando subito a fare in culo, ma soprattutto gli faccio sentire il disco live autoprodotto per l’occasione dai Mayhem e gentilmente inviatomi come promo digitale da uno dei loro molti P.R., così capisce quale è il suono che la band voleva per questa commemorazione (parole loro) e quale invece è quello che ha sentito. Il “sound guy” dei Mayhem sfregia anche “Freezing Moon”, mentre le persone continuano a urlargli di alzare il volume, ma ci dev’essere anche qualche altro squilibrio, dato che Hellhammer, che – così mi riferiscono, non sono un tecnico – ha un modo di suonare che richiede determinati accorgimenti di amplificazione dal vivo, o non lo senti, o quando fa certi passaggi sui tamburi che ha intorno echeggia come petardi a Capodanno, coprendo chitarre deboli e un Attila che deve reinventare la sua interpretazione teatrale di 23 anni fa, impresa nient’affatto semplice. Davanti comincia a liberarsi spazio, e i motivi non sono lusinghieri, il gruppo pare non accorgersi dei problemi, mi avvicino (siamo a “Pagan Fears”) e la situazione migliora solo in parte. Poco interessano, a questo punto, i cambi di scena per introdurre l’ultima parte del disco maledetto.
La faccenda è semplice: arrivi da un genere che non ha sempre avuto un buon rapporto coi live, con gruppi non sempre propensi a farsi vedere on stage, sei una band controversa, sei nel corso di un tour in cui stai per la miliardesima volta vendendo la stessa storia malata (anche se non ti serve, perché i dischi li sai fare ancora), dunque non puoi vantarti di essere in giro da trent’anni (The True Mayhem, ragazzi) e poi offrire ai fan uno show di questo tipo.