Maurizio Abate (in occasione della prima de Les Rencontres Sonores)
Nel gennaio 2019, il desiderio di creare esperienze condivise nell’ambito della musica sperimentale ed elettronica e di sostenere attivamente i musicisti della scena, diventa realtà. Da questo momento in poi Les Rencontres Sonores (Gli Incontri Sonori) diventa un progetto culturale di tipo associativo, che attualmente collabora con diverse sale di Bienne (Svizzera Centrale) per poter programmare i vari concerti. Oltre alla possibilità di conoscere meglio la musica degli artisti per mezzo dei loro live, a Les Rencontres Sonores interessa esplorare anche il loro rapporto soggettivo con essa, tramite delle interviste.
Maurizio Abate è il primo artista che l’Associazione Les Rencontres Sonores presenterà il 21 marzo al Literaturcafé di Bienne. Questa scelta dipende dalle specificità di Abate nel suo approccio alla musica, tenuto conto che i suoi progetti si situano essenzialmente tra la musica sperimentale e quella acustica. Nella prima postura, quella più onirica e trascendentale, Abate è capace di accompagnarci in luoghi psichedelici, astratti, sconosciuti e lontani. Con i suoi progetti acustici, invece, ci permette un ritorno all’essenza, nutrito dal suono delle corde di chitarre primitive che richiamano le remote origini del fingerpicking, in una chiave totalmente intima e personale.
Per il suo concerto con Les Rencontres Sonores, Maurizio Abate sceglie di presentare il suo progetto acustico in collaborazione con Lucia Gasti, violinista di formazione classica, attiva nella band friulana The Mechanical Tales e in performances intermediali, installazioni sonore, tournée in tutta Europa e in collaborazione con diversi musicisti del panorama underground italiano.
Ecco l’intervista svolta dalla sottoscritta, fondatrice e responsabile della programmazione musicale de Les Rencontres Sonores, Nadia Peter.
Qual è stato il tuo primo incontro sonoro?
Maurizio Abate: I primi ricordi credo siano legati all’ascolto degli esercizi di chitarra classica di mia sorella di quattro anni più grande e le suonate di mio padre con gli amici. Da bambino quei suoni, seppur ripetitivi, ostinati e imprecisi mi facevano compagnia e mi sono entrati dentro.
Quando hai deciso di diventare un musicista e perché?
Non c’è stato un momento preciso in cui l’ho deciso, è successo in maniera naturale, non presto comunque, diciamo poco prima dei trent’anni. Da lì si è sviluppato un processo di evoluzione che è partito da un’urgenza espressiva e di rapporto con il suono e gli strumenti, passando attraverso il piacere di produrre dischi, suonare con altri musicisti, portare in giro la musica dal vivo.
Come mai hai scelto la chitarra ?
È lo strumento che ho trovato in casa da piccolo, come accennavo prima mia sorella e mio padre sono entrambi chitarristi, forse per un semplice effetto di prossimità. Poi col tempo ho trovato negli strumenti a corde il mezzo ideale per esprimere le mie idee musicali.
Che cosa ti ispira, come trovi la tua ispirazione?
Traggo ispirazione principalmente dai vissuti personali e da tutto ciò che incontro sul mio percorso, dai luoghi, dalle persone con cui entro in contatto e dalle musiche che scopro man mano.
Per dare forma all’ispirazione poi mi è sufficiente prendermi del tempo da dedicare allo strumento, il processo compositivo diventa poi piuttosto incontrollabile e spontaneo.
Ci sono musicisti o gruppi che senti particolarmente vicini e, se sì, perché?
Mi piacciono molto e chitarristi come John Fahey, Baden Powell, Bola Sete, Jim O’Rourke, Athahualpa Yupanqui per il loro tocco sulla strumento, ma anche certa musica ambient psichedelica (Popol Vuh, Ash Ra Temple, Brian Eno) per la ricerca di mondi sonori possibili, fino ad arrivare al minimalismo di Terry Riley, Stephen Scott, Steve Reich.
Cosa ti piace nella musica?
Mi piace il senso di libertà che provo nel praticarla, scriverla e immaginarla.
Come ascoltatore invece amo le infinite possibilità che può evocare: la musica può far emozionare, piangere, ridere, pensare, può farti immergersi in mondi altrimenti difficili da raggiungere, può anche far divertire, ballare, aggregare, creare comunità.
Cosa non ti piace nella musica?
Difficile trovare qualcosa che non mi piaccia della musica, forse talvolta ne viene fatto un utilizzo a fini commerciali che non mi piace, ma è solo una questione di gusti.
Come si vive da musicista oggi?
L’attività di musicista non è l’unica cosa che faccio nella vita, ho un lavoro che mi serve per pagare gli affitti e tutto il resto, un po’ per scelta e un po’ per necessità.
Sono totalmente indipendente per quanto riguarda trovare concerti e produrre dischi, ma fortunatamente ho incontrato persone che, apprezzando la mia musica, mi hanno dato la possibilità di pubblicare i miei lavori.
Come si vive da musicista oggi, quindi… finché credi in quello che fai direi bene, consapevoli del fatto che se vuoi muoverti al di fuori del music business è importantissimo coltivare sostenere ed essere parte di una rete di persone appassionate e in qualche maniera coraggiose.
Cosa consiglieresti ad un bambino che vuole diventare musicista?
Di trovare uno o più strumenti con cui iniziare a giocare e di ascoltare tanta musica. Poi consiglierei, crescendo, di andare a vedere concerti, immergersi nei contesti musicali, conoscere altri musicisti/e, darsi da fare in maniera attiva nel mondo musicale.
Come vivi i concerti ed il contatto con il pubblico?
Dipende molto dal periodo, dal progetto che porto in giro e dai contesti, ma di certo mi piace suonare in spazi sconosciuti e conoscere nuove persone e realtà. Per quanto riguarda il rapporto con il pubblico, il contatto che si crea non ha molto a che fare con l’intrattenimento, ma più con una condivisione di un’ esperienza, non mi reputo un animale da palco.
Se dovessi finire su un altro pianeta abitato da un popolo a noi sconosciuto, quale sarebbe la prima canzone che suoneresti per loro?
Credo che porterei un lettore mp3 e farei ascoltar loro tutto A Love Supreme di Coltrane.