MAURIZIO ABATE
Il musicista lombardo ha fatto uscire uno degli album più onesti ed appassionati dell’anno appena trascorso, garantisce la Black Sweat Records. Dopo averlo seguito anche negli Eternal Zio e in duo col socio Canedicoda a nome Arbre Du Ténéré, è arrivato il momento di due chiacchiere con lui per fare il punto su quanto svolto in solitaria finora. Tenetelo sempre d’occhio, ne vale la pena.
Ciao Maurizio. Voglio dirti subito che ho trovato l’ultimo disco ancora più intenso dei precedenti. Altra cosa che mi ha colpito, il fatto che ti ispiri a John Fahey. Lo citi espressamente, dato che hai pure presentato il documentario a lui dedicato in giro per lo Stivale, e quindi ti provoco chiedendoti: sei cosi “innamorato” delle sue musiche che hai deciso di “riproporle” alla tua maniera, o in qualche modo di farle tue?
Maurizio Abate: Ho scoperto la musica di John Fahey circa quindici anni fa e ne sono rimasto subito rapito, per parecchio tempo l’ho ascoltata in maniera ossessiva, poi per un lungo periodo l’ho abbandonata. L’idea di scrivere dei brani per chitarra acustica mi è nata appunto nel 2013, quando ho avuto l’occasione di presentare in Italia il documentario su di lui del regista canadese James Cunningham. Per me era una grossa sfida, visto che negli anni precedenti mi ero approcciato alla musica in maniera totalmente istintiva, improvvisando molto sia dal vivo, sia su disco. In quest’ultimo caso il lavoro in post-produzione mi aiutava a creare delle strutture, ma insomma: trovarmi solo con la chitarra acustica mi ha dato molti limiti e altrettanti stimoli. Quello che mi ha sempre colpito della musica di John Fahey è la capacità di raccontare, di creare un vero e proprio filo narrativo senza l’uso delle parole, utilizzando esclusivamente il linguaggio del fingerpicking.
Per rispondere alla tua domanda, quindi: ho sicuramente cercato di fare mio quel linguaggio, esercitandomi sullo strumento come mai avevo fatto prima, per cercare di definire il mio personale racconto, dando voce ai miei umori e alle mie esperienze. A dire il vero, nel periodo appena antecedente alle registrazioni ho ascoltato a ripetizione i dischi in solo di Bola Sete su Takoma (etichetta fondata da John Fahey, appunto), che credo abbiano influenzato quantomeno il suono del disco, ma ammetto che a cose fatte mi sono posto la domanda se i pezzi risultassero troppo derivativi, ma non mi sono mai dato una risposta.
Si può, secondo te, provare un forte senso di isolamento pur vivendo in una metropoli, o comunque nei paraggi? Te lo chiedo visto che i tuoi brani mi fanno pensare a quella particolare condizione…
Direi proprio di sì. Una città come Milano, da cui provengo, può predisporre alla socialità ma può anche suscitare rigetto, un senso di spaesamento. C’è da dire che fortunatamente gli esseri umani reagiscono, e potrei portare esempi di realtà milanesi in cui umanità e relazioni autentiche sono alla base della condivisione di esperienze e progetti. Tuttavia la condizione di cui parli non è sempre e solo una risposta all’ambiente in cui si vive, talvolta è più una condizione esistenziale, un ritiro quasi. I brani del disco sono stati registrati in un periodo in cui ero alieno al tessuto sociale durante giorni di isolamento volontario, forse è proprio questo che traspare.
Mi racconti dei primi passi della tua carriera, e di come ad esempio incroci Jooklo Duo e gli Eternal Zio?
Ad inizio anni Duemila suonavo la chitarra in un misconosciuta band noise-rock, ero parecchio affascinato dal suono “albiniano” di gruppi come Shellac, The Jesus Lizard… parallelamente iniziavo a registrare delle cose più sperimentali per conto mio utilizzando gli strumenti che avevo sottomano, realizzando qualche cd-r autoprodotto. Erano anni di fortissima curiosità musicale, l’ampliamento degli ascolti, gli incontri e le esperienze mi hanno poi portato verso altri territori, la psichedelica, il noise, l’improvvisazione. Ho impiegato un po’ a definire un mio set solista, anche se qualche performance estemporanea la feci già dal 2006, ed è solo negli ultimi quattro anni che mi propongo da solo dal vivo. Gli Jooklo Duo li ho incontrati per caso a un loro concerto nel 2004, e tra una chiacchiera e l’altra ho iniziato a frequentarli, e a jammare con loro. Sono dei musicisti straordinari con una sensibilità ed un’energia rara, li conobbi che avevano poco più di vent’anni, e da allora per i successivi sei/sette anni abbiamo fatto parecchie cose insieme, mi hanno insegnato moltissimo riguardo un certo modo di fare musica libera.
I ragazzi di Eternal Zio invece sono amici da una vita, Valla lo conosco da quando eravamo bambini, Roberto l’ho incontrato a un banchetto di una distro che teneva al tempo (aveva anche una sua personale etichetta, la Subcasotto). Di Rella invece mi parlò un’amica comune, indicandolo come “il ragazzo che suona del blues marcio niente male”. Inizialmente suonavamo in formazione variabile nei live di Rella The Woodcutter, poi per un periodo abbiamo vissuto insieme in un casa fuori Milano, Ca’ Blasè, nella quale organizzavamo house-show per musicisti di passaggio o amici. In quegli stessi anni è nato il progetto Eternal Zio, semplicemente andando al piano interrato a suonare gli strumenti che c’erano a disposizione.
Il collettivo Ca’ Blasè è rimasto, e continuiamo ad organizzare concerti in giro per Milano, pur non vivendo più insieme.
Ebbi il piacere di vederti a Torino nel 2012, a supporto di Jozef Van Wissem. Se non ricordo male lui era con il suo enorme liuto, mentre tu suonavi la ghironda. Per me fu una rivelazione. Che ricordi hai di quel tour? E come mai hai scelto di misurarti anche con uno strumento cosi antico?
Di quelle tre date insieme a Jozef ricordo con divertimento il viaggio in furgone tra Bologna e Milano, durante il quale ci siamo persi nell’Appennino piacentino dopo una visita a un amico che abita in un paesino sperduto in quelle valli, nuvole basse, tornanti e baretti di provincia in cui chiedere informazioni, una situazione piuttosto surreale. Già, quello è stato proprio il tour degli strumenti antichi! La ghironda mi ha sempre affascinato, è uno strumento arcaico, con un funzionamento molto ingegnoso, completo (si possono produrre bordone, ritmica e melodia contemporaneamente) e con una ricchezza armonica eccezionale, ma rimane poco utilizzato in ambiti non tradizionali, ed è un vero peccato. Sono riuscito a trovarne una usata a poco prezzo ed ho cominciato a giocarci, non ho mai imparato a suonarla in maniera canonica, ma rimane uno strumento molto evocativo ed ipnotico che mi intriga parecchio.
Trovi delle differenze tra il nostro pubblico e quello estero? So che hai suonato fuori dall’Italia.
Non riesco a fare un discorso generale, dipende molto dalle situazioni. Sia in Italia che fuori mi è capitato di incontrare pubblici molto diversi, la differenza la fanno la curiosità, l’attenzione e lo scambio che ci possono essere durante e dopo un live. Quello che ti posso dire è che suonando all’estero ti confronti spessissimo con situazioni nelle quali nessuno ti conosce, e questo è sicuramente uno stimolo in più.
Raccontami invece di come nascono gli Arbre Du Ténéré con Canedicoda. Rimarrà una cosa estemporanea?
Conosco Giovanni da molto tempo, e da quando si è trasferito a Milano c’è stata occasione di vedersi spesso, a concerti, serate… Di lui apprezzo molto la cura artigianale che mette in qualsiasi cosa faccia, e la capacità di concentrazione per entrare nel suo personale flusso sonoro. È stato piuttosto naturale decidere di fare qualche sessione di registrazione insieme, e subito c’è stata una sintonia, un’estrema facilità nell’interagire nell’improvvisazione. Ora abbiamo un disco su Holidays Records e una cassetta in uscita per Yerevan Tapes, abbiamo fatto un paio di tour in Italia e qualche concerto sparso. In futuro chissà come evolverà la cosa, non facciamo molti piani a riguardo.
Devo dire che il tuo stile, e la tua proposta, restano comunque tra i più singolari, pur essendo di primo acchito facilmente accostabili al folk ed alla psichedelia meno selvaggia (per il lato più tosto di quest’ultima faccenda ci sono già gli Eternal Zio, appunto…). Hai intenzione di proseguire su questa strada o magari dobbiamo aspettarci novità stilistiche di qualche tipo?
Non saprei, anni fa non avrei mai detto che sarei riuscito a registrare un disco di sola chitarra acustica, non improvvisato per di più! Ultimamente mi interessano in modo particolare le collaborazioni, meglio se con musicisti di estrazione differente dalla mia, ci sono in cantiere due lavori, uno con Alberto Boccardi che uscirà a breve su Alt. Vinyl, e un altro con Matteo Uggeri in fase di missaggio. Credo comunque di essere alla ricerca di stimoli e orizzonti nuovi.
Sei già in tour, o ci andrai presto?
Subito dopo l’uscita del disco, a novembre, ho fatto un mini tour in Portogallo con Adele H., cantante di Bergamo di gran talento che lavora su loop di voce, poi altre date in Austria, Repubblica Ceca e Germania, ma al momento non ho tour in programma.