Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

MAURICE LOUCA, Saet El-Hazz (The Luck Hour)

Saet El-Hazz è il quarto disco a firma solista di Maurice Louca, anche se per molti potrebbe essere il primo approccio all’artista. È sempre difficile districarsi fra i mille rimandi che una carriera come quella dell’egiziano suggerisce: sullo sfondo il legame indissolubile con sonorità e intrecci ritmici della terra natia, in primo piano la militanza nei Dwarfs Of East Agouza, famoso gruppo jazz-psichedelico di stanza a Il Cairo, del quale fa parte come tuttofare elettronico-sintetico dal 2012 ad oggi.

A sua firma solista una manciata di album, la cui traiettoria, partendo da Benhayyi Al-Baghbaghan (Salute The Parrot) del 2014 e arrivando a “Elephantine” del 2017, lascia presagire, riascoltata a posteriori, un possibile punto di rottura, o per meglio dire, una maturazione definitiva.

“Punto di rottura” è un termine improprio, in realtà: il debito con la scena psichedelica sotterranea egiziana viene ripagato, non si tratta di un’emancipazione chiara e definitiva. Di fatto però il cliché melodico, o di scelta di suoni e ritmi, spinto anche da una “nostra” (inteso come ascoltatori occidentali) esterofilia forzata, viene messo da parte. Al suo posto appare il frutto della riflessione forse più entusiasmante del disco: attrice principale, in primo piano, a chiedere con forza l’ascolto e l’orecchio, è l’improvvisazione, con la “I” maiuscola. Non parliamo delle spirali psichedeliche da dieci minuti dei Dwarfs (come in Bes del 2016) ma proprio di una ricerca profonda, oscura, quasi fosse l’esumazione, o “l’ungrounding” del “Cyclonopedia” di Reza Negarastani, un processo per nulla facile, a tratti doloroso e portatore di verità occulte. Evidentemente, nel percorrere dall’esterno verso l’interno gli strati e i meandri della tradizione musicale medio-orientale, Louca ha trovato il proprio, personale, nocciolo di senso nell’improvvisazione radicale, condensando poi il tutto in un disco, grazie al sodalizio con sensibilità affini: troviamo il cosiddetto “A” trio, composto dai libanesi Mazen Kerbaj alla tromba preparata, Sharif Sehnaoui alla chitarra preparata e Raed Yassin al contrabbasso preparato, così come Anthea Caddy, violoncellista di spicco nella scena free-impro Berlinese, oltre a collaboratori di lunga data come Khaled Yassine alle percussioni e batteria.

I sei movimenti di questo Saet El-Hazz sono di un’intensità unica. Registrati nella loro interezza durante una sola settimana a Bruxelles (il formato fisico, in vinile, esce per la Belga Sub Rosa) immortalano una coesione granitica fra i partecipanti, con una produzione che mette in risalto l’immediatezza viscerale di una performance in stato di grazia.

L’introduttiva “El-fazza’ah (The Slip and Slide)” potrebbe essere il manifesto per una nuova scena free-impro mediterranea con i suoi abissi materici e il suo minimalismo melodico microtonale. Di certo una buona sintesi dei restanti ventisette minuti. La proporzione fra flusso di coscienza radicale, ermetico, e struttura, non necessariamente persiste in favore della prima: i momenti più riflessivi, in cui Louca domina la scena, indiscusso e solitario, solo con chitarra e pochi elementi percussivi ci sono e rendono l’opera più ariosa e tridimensionale (vedasi “Sa’et El-hazz”, brano che dona il titolo all’album).

In un riuscito tentativo di smarcarsi degli schemi melodici usuali (non solo egiziani), l’autore utilizza strumenti modificati ad hoc per accedere agli spazi “microtonali” dell’udibile. L’effetto, ottenuto con le modifiche ad una chitarra e ad uno xilofono della tradizione indonesiana – quest’ultimo ben evidente in “Yara’ – Fire Files” – sono certo sottili ma non impercettibili, e contribuiscono all’originalità del disco.

Il lavoro più profondo e complesso di Maurice Louca fino ad ora, anche se considerassimo le avventure con gruppi paralleli. Profondità in questo caso significa anche “difficoltà”, “sforzo”, nonostante il titolo, tradotto poi in “The Luck Hour”, rimandi a tematiche di felicità e spensieratezza. Un’opera, non di facile accesso, in cui però perdersi, colma di chiaroscuri da esplorare con attenzione, che rivela la sensibilità radicale di un artista che, speriamo, possa continuare il suo entusiasmante percorso di maturazione e ricerca. Consigliatissimo.