MAUD THE MOTH, The Distaff
Quando iniziamo l’ascolto di The Distaff di Maud The Moth è lo spagnolo ad aggredirci, ma il mondo è quello greco, antico, dove sirene, mostri, uomini, dei e donne convivevano ferocemente. Il canto di “Enramada” fa venire i brividi, sembra di assistere a una trasformazione, che forse è la vera natura della libertà femminile, come a tratti si può sentire nelle artiste più ispirate, finalmente spaventose. L’epica che la falena suggerisce non le appartiene, sembra invece si muova tra leggerezza e rammarico sulle rovine dismesse con tocchi romantici e drammatici. Fra la fine di “A Temple Of The River” ed “Exuviae” sono i canti degli uccelli, di taglia minuta prima di passare ai corvi, ad accompagnarci, quasi che si voglia per sempre lasciare dietro di sé delle scomode spoglie umane. Forse la sepoltura dei patriarchi è da vedere in questo senso, come commiato in punta di ugola e di dita da una società falsamente indirizzata, note come gocce calcaree a formare rocce. Forse la natura di Maud The Moth è in eterna trasformazione, quasi come vedere una specie primigenia evolversi e mutare nelle differenti ere geologiche, attraverso colori e immagini frastornanti e da qui l’ipnotica musica, ad imbambolarci per non carpirne i trucchi. Così dalle profondità marine torniamo alle distese andaluse, in una “Despeñaperros” che sembra risvegliare i defunti nel territorio spagnolo nel quale Maud ambienta il suo vagare, accolta al finale dai chiocchi delle capre. “O Rubor”, il rossore, descrivibile solo come emozionante, oppure come emozione stessa, che parte da un brano di Hildegarda von Bingen e che riesce a smuovere ancora dopo secoli. I tasti di “Fiat Lux” svelano di contrasto con il titolo tutta l’anima notturna e ferina (considerando anche i suoi agiti con gli Healthyliving), facendosi creatura centrale, carnale e vibrante. Come finale di The Distaff Maud sceglie di aprire letteralmente un mondo, quello di Frank Herbert e di Dune, che ci investe come folate di sabbia in “Kwisatz Aderach”, entità minuscole nelle quali potrebbero nascondersi altre visioni, direzioni, vie. Il tutto con piano, voci, atmosfere e brividi, all’insegna di un suono personale nella classicità dell’impasto drammatico. Amaya López Carromero sceglie con sapienza i propri collaboratori (al violoncello c’è Helen Money, alla batteria Seb Rochford, al violino Fay Guiffo, poi il partner Scott McLean a chitarra, sax e synth) ma soprattutto riesce a creare una storia fra mito e fantascienza, nella quale la musica e i brani aprono porte su mondi sconosciuti.
The Distaff è un esempio forte e convinto di una narrazione eterodossa, misteriosa e che sembra comunicare per vie impervie secondo lemmi e suoni personali. Averne…