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Maud la falena

Amaya López-Carromero è la seconda falena che incrocio da quando ascolto coscientemente musica: prima Sara Ardizzoni/Dagger Moth, ora Maud The Moth, in un gioco notturno di ali.

Maud The Moth, questo il nome del progetto che la musicista madrilena ma residente in Scozia ha scelto dal 2012 per connotare le sue espressioni soliste, è un incontro trascendente fra piano e voce. Note e gorgheggi che si rincorrono stagliandosi nelle loro traiettorie, come se una scia di sedimenti fosse in qualche modo rimasta impressa nell’aria. Tre album, più alcuni lavori collaborativi e una sessione pianistica, prima di The Distaff. Un titolo traducibile con “conocchia”, arnese che con il fuso permette la lavorazione della lana. Già così si entra di diritto in un territorio epico, legato alle antichità e al lavoro, a maledizioni e incanti. Aggiungiamoci una musica che come quella di altre artiste contemporanee va ad esplorare le pieghe più nascoste ed oscure, al limitare fra auto-analisi e dipinto, vengono in mente Soap & Skin, Emma Ruth Rundle ed Augustine, tanto per mischiare le carte. Non abbiamo ancora citato l’altra forte esperienza di Amaya, cioè il provvedere a voce e oscurità per gli Healthyliving, terzetto di mista provenienza di base a Edimburgo, autori di un suono fra doom e noise rock (se ve lo siete perso, un ascolto a Songs Of Abundance, Psalms Of Grief, è doveroso, potreste restarci sotto). Ma è bene ricordarsi per chi siamo qui oggi, solo per la falena in questione, Amaya, Maud The Moth.

The Distaff è un album che prende ispirazione da un poema di Erinna, che si suppone risalga ad almeno sei secoli prima di Cristo. Tu parti invece da Madrid per Edimburgo. Qual è il tuo viaggio e quale invece quello di The Distaff? Dove si intrecciano i fili?

Amaya López-Carromero: Haha, questa è una bella domanda e non sono certa di avere una specifica risposta. Credo che il tentativo (e i significati che questo disco ha per me) fosse quello di creare un mondo fittizio, ispirato alla realtà e con un’estetica molto realistica. È una maniera di utilizzare la musica e anche la mia idea di album, cosa che per me è molto importante, perché questo è un lavoro d’insieme con diversi brani e una sua fisicità, come ad esempio i due lati di un lp, e questo aiuta a creare un mondo attorno ad esso. In questo mondo gli scenari e i personaggi che appaiono sono frutto di un processo emozionale. Forse è un po’ complicato da mettere in questi termini, ma quel che capita direi che è legato forse non al subconscio ma a delle specie di sogni diurni, concettuali. È un po’ un pastiche di diversi elementi che ho raccolto nella mia vita come per l’appunto questo poema di Erinna che lessi casualmente in un libro trovato chissà dove e che tematizzava le figure femminili nell’antichità. Questo mi ha fatto riflettere molto sul mio posto nel mondo e su cose che avevo normalizzato crescendo e che avevano avuto un impatto sulla mia personalità. In particolare questa poesia, solo per la sua scrittura, ha smosso ricordi e collegamenti con la mia infanzia e con l’atemporalità di questi aspetti, con un ritorno delle medesime dinamiche anche dopo anni. Mi ha colpito talmente tanto che già nel mio album precedente avevo inserito una parte del poema come uno spoken word, una parte dove Erinna parla di una sorta di “Boogeyman”, di figure che tornano in diverse culture. Le Lamia, ad esempio, le streghe, sorta di donne inacidite, e queste figure che provano a sottrarre alle donne i figli. Così ho pensato alle radici di questi fantasmi, all’oppressione, alla segregazione sociale, alle prescrizioni di genere e di ruolo: non soltanto dal punto di vista della donna o femmina, pur essendo importante per me poiché cresciuta e socializzata in questo senso, ma anche le implicazioni che questo può avere su tutti. Penso al senso del dovere con cui gli uomini sono portati a crescere, proiezioni che possono creare fantasmi. Tutto questo si è fissato nella mia testa mentre lavoravo alle ultime parti del disco ed andavo avanti con la mia vita, stabilizzandosi in qualche modo questo mondo immaginario attorno a questa conocchia, The Distaff. Questa era praticamente una sorta di pennecchio attorno ad una rocca per filare la lana, citata più volte nella bibbia per connotare le donne virtuose, un’altra idea tossica per fissare dei ruoli prestabiliti ai generi. Quindi ho unito questa storia alle mie storie, l’emigrazione, il culture clash, l’essere cresciuta in una città come Madrid con dei genitori emigrati però dalla Spagna più rurale. C’è sempre stato un contrasto, con morali ed ottiche differenti, talvolta ipocrite come l’idea della crudeltà sugli animali nelle campagne perché maggiormente svelata, mentre in città il tutto avviene in maniera nascosta ed ovattata. Credo fossero situazioni complicate e la maniera che avevo per processarle fosse quella di creare un mondo immaginario dove tutto fosse astratto e concettuale. Non sarei riuscita a esprimere tutto questo in maniera esplicita. Questa è praticamente una panoramica sull’album!

Fantastico, grazie mille! Quando hai deciso invece di trasformarti in una falena, prendendo le sembianze di Maud The Moth?

Ero molto giovane, è iniziato tutto con un sogno che ho avuto quando avevo circa dodici o tredici anni. Scrivevo la mia musica e le mie storie, in una specie di espressione artistica nascosta che utilizzavo per esplorare il mio mondo ed avevo iniziato a creare una sorta di progetto black metal da cameretta! Non era proprio black metal ma aveva quel tipo di energia, avevo disegnato le copertine delle cassette con lacrime di sangue in maniera molto drammatica. Registravo su nastro canzoni alla chitarra e al piano che suonavamo malissimo. Pensando a un nome per il mio progetto ebbi questo sogno nel quale una falena volava e le sue ali prendevano la forma di diversi volti e cose, era veramente lucido come sogno e quando mi svegliai la mattina successiva e aprendo l’armadio trovai una falena, beh, pensai, è un segno! Iniziai quindi a orientare il mio progetto verso questa falena.

Ascoltando The Distaff quel che salta all’orecchio sono i continui rimandi al mondo animale. La falena, gli uccelli che si sentono in più canzoni, i cani, i sifonofori. Se dovessi pensare di avere un’altra esperienza terrestre oltre a quella umana e femminile, in che specie vorresti rientrare in gioco? Credi sia possibile tornare?

Allora, non credo nella reincarnazione e credo che dal punto di vista scientifico l’ipotesi più probabile sia quella della morte e basta, ma sarebbe una bella idea. Non saprei cosa rispondere: sono affascinata dalla natura e dagli animali in generale, solo per il fatto che tutte le creature riescano a condividere gli spazi su questo pianeta, ma credo sceglierei un animale completamente differente dall’umano. Prima hai menzionato i sifonofori e credo sia incredibile l’idea di una collettività che possa avere un unico scopo per il bene comune, questo mi ispira e mi terrorizza allo stesso tempo, direi! Se potessi scegliere forse deciderei di vivere la mia vita come una colonia di bestie!

Penso sia fantastico! Io credo che potrei scegliere il polpo, con diversi cervelli per manovrare ed agire su più piani…

Oh, splendido, sì!

Vivere nel mare deve essere splendido! Il tuo disco ha molti riferimenti acquatici ed oceanici, come ci sei arrivata?

Credo sia un fattore legato soprattutto all’idea dello sconosciuto, del cosmico in un certo senso. Inteso relativamente al sentimento delle persone che, creando e performando, cercano di comprendersi in maniera diversa ed in un contesto che può amplificare queste sensazioni, come appunto il cosmo, l’oceano, o perché no un deserto… questo tipo di luoghi in generale.

Parlando di luoghi e di deserti, il brano “Despeñaperros” ha a che vedere con un parco naturale spagnolo. Nome e paesaggio mi hanno riportato ad una desolazione quasi priva di vita, al limite dell’idea di zombi romeriani. L’atmosfera del brano e del luogo mi riporta a concetti come resistenza, abbandono e morte. Qual’è stata l’ispirazione che ti ha donato questo luogo?

Questo posto, parlando a livello geografico e geologico, è sempre stato molto considerato, ha diverse pitture rupestri, incredibili esemplari floreali e faunistici. Ci sono degli avvoltoi, alcune specie particolari di avvoltoi che usano prendere le ossa degli animali per andare in quota, lanciarle per romperle e mangiarne il midollo. È un luogo geograficamente aggressivo ma che è sempre stato strategicamente necessario, per un passaggio che da Madrid va verso il sud della Spagna. È quindi sempre stato molto battuto nonostante fosse molto rischioso prima dell’industrializzazione e dei lavori stradali. Ha avuto anche un’importanza a livello militare e anche durante il regime franchista. La Spagna ha avuto moltissime fasi con passaggio di molti popoli e quindi i racconti e le leggende si moltiplicano. Si dice che “Despeñaperros” prenda il nome dall’abitudine di eliminare prigionieri politici sgraditi in questi spazi, in un periodo dove venivano chiamati cani e quindi eliminati. Ma soprattutto, quando cresci in Spagna e vivendo a Madrid, è proprio il passaggio verso sud, verso Granada o Siviglia, ed avendo questo nome e questa geologia drammatica, è un luogo che viene spesso citato. Questo ha fatto sì che si fissasse nella mia mente con le immagini che anche tu giustamente hai descritto, in una sorta di calvario per sopravvivere. Nell’album questo brano è strategicamente piazzato a metà perché il disco è una sorta di narrazione sull’individuazione, sul rigurgito di queste memorie e di questi traumi per farli diventare qualcos’altro. È come una trasformazione ed anche per questo la fine del disco ne riprende l’attacco, creando una sorta di loop continuo. Cerca di simulare un giorno e come brano “Despeñaperros” ne sarebbe l’apice solare, secco, come un passaggio cruciale. 

Questa è una domanda in due parti.
“O Rubor” sembra si trasformi da fredda in accorata, calorosa e toccante. Ascoltandola mi sono realmente emozionato e mi sono chiesto se si potesse tradurre in emozione in musica.
Poi ho ragionato sulla figura femminile come archetipo che si muove nell’album e una di queste figure leggendarie (come potevano esserlo Giovanna d’Arco o Santa Lucia) era Hildegarda von Bingen, sorta di suora rivoluzionaria, compositrice ed amante del bello. Ho poi scoperto solo in un secondo momento che proprio da Hildegarda era stata presa l’ispirazione per questo brano… avresti voglia di parlarmene?

Mi piace veramente come vedi “O Rubor”, non ci avevo pensato e credo abbia molto senso. La musica è la mia forma d’arte preferita e credo sia magica, per il fatto che il suono può smuovere sentimenti, pensieri e visioni, cose che non riuscirei ad esprimere altrimenti e che il suono mi permette di esternare. “O Rubor” è un brano di Hildegard von Bingen, anche se in realtà solo il testo è quello originale, mentre la musica è stata composta ex novo. È un brano che nel contesto di Hildegard von Bingen dimostra come la sua fede non possa essere spezzata dai demoni, di come si possa trascendere. È un brano sulla trascendenza e il fatto che sia successivo a “Despeñaperros” va proprio a simboleggiare un passaggio oltre il dolore fisico e il trauma, raggiungendo un’armonia con il proprio essere. Ci tengo comunque a dire di non essere una persona religiosa, non ho questa infatuazione per il Signore!

Nemmeno io, ma credo siano interessanti queste figure e queste idee di vita, così come i valori e le idee di queste persone, che è la cosa che cerchiamo anche di tramandare al prossimo in qualche modo.
“Fiat Lux”, la luce. Non può esistere senza il buio così come il silenzio non può esistere senza il rumore. Quando hai iniziato a suonare che tipo di direzione cercavi di andare? Volevi illuminare la tua vita od oscurarla? Che direzione percorrevi?

Credo che percorressi entrambe le vie, perché attraverso la musica potevo esplorare sentimenti oscuri arcaici come l’ossessione ed era un metodo (la scrittura di storie e musica unendole in canzoni) per esplorare delle cose, delle emozioni in un mondo immaginario. Attraverso questo processo ho ricevuto gioia e soddisfazione perché riuscivo a creare qualcosa di mio con la mia strumentazione e la gioia che la musica è in grado di darmi non ha eguali, nulla mi rende più felice del vivere il momento della scrittura, focalizzarmi su questo, trovare la via esatta, che cattura la mia attenzione e mi calma, mi fa felice. Questo mi permette di esplorare sensazioni negative ma anche di darmi gioia, equilibrandomi.

L’ultima canzone del disco si intitola “Kwisatz Haderach” come il personaggio principale della saga di Dune. Premetto di non averne letto i libri né visto i film ma ho cercato di raccogliere quante più informazioni su di lui. Il suono è maschile ma la musica è femminile. Kwisatz Haderach è un uomo ma ha degli ingredienti o delle caratteristiche che gli permettono di comprendere il mondo femminile. L’album porta avanti delle figure femminili molto forti, questo ultimo personaggio e brano ne è in qualche modo il finale, quello che va ad unire i due mondi?

È (ovviamente dal mio punto di vista) una grande concentrazione di energia femminile, così come l’ho sperimentata, ma credo che l’umanità debba trascendere questa cosa. Credo che queste aspettative e divisioni legate al genere creino ansie e rigidità non solo a chi non ci si senta rappresentato ma proprio in generale, non appena si va a pensare alla propria posizione nel mondo. “Kwisatz Haderach” è la “combinazione” dell’album: sono una grandissima appassionata di sci-fi (lessi il libro credo a 12 anni) e Dune è uno dei miei testi preferiti, credo che Frank Herbert sia riuscito a costruire splendidamente una sorta di mondo oscuro, religioso e fascista. Kwisatz Haderach era il sogno di un essere che potesse essere maschio, guardare con una saggezza innata le due parti, maschili e femminili, e comunicarci, proprio come se fosse l’essere perfetto. È un modo di unificare l’album ma è anche per rispettare Frank Herbert, che pensava questa non fosse una buona idea! Non ci sono esseri perfetti, né supremi profeti alpha. Questo mi lascia supporre che la perfezione dell’essere possa esistere in ognuno di noi con empatia e compassione comuni.

Pensando a questa idea di unità ed empatia, se Maud The Moth avesse la possibilità di fare un disco con un artista uomo (vivo o morto che sia), chi sceglieresti come partner?

Uuh, possiamo risvegliare i morti! È una scelta molto difficile, ci sono molti artisti che mi hanno influenzato molto. Sono quasi certa che molti di loro fossero orribili compagni di lavoro. Sono una grande fan di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, che è stato un folle totale e avrei voluto essere soltanto in grado di osservare i suoi processi compositivi che erano molto influenzati dal misticismo e dall’esplorazione della psiche umana attraverso il suono, facendo queste performance che includevano suoni di un organo creati da luce. Ma ci sarebbero anche molti artisti del presente con i quali mi piacerebbe lavorare: sono una grande fan degli Oranssi Pazuzu, della loro visione, ma anche degli Ulver, tanti artisti! Amo molto anche Toby Driver ed in qualche modo sto cercando di mettermi in contatto con lui, trovo che abbia quella cosa mistica in lui ed apprezzo veramente molto ció che fa con la sua musica quindi sarebbero molti possibili partner…

Mi sembrano delle ottime scelte!
Negli ultimi tempi ho ascoltato diversi lavori di musiciste intensi, che sembrano esprimersi con una musica che è completamente fuori dal tempo, come Sophia Djebel Rose o Soap & Skin. Inizialmente hai avuto delle ispirazioni di figure femminili per iniziare la tua via come musicista? Penso magari a nomi come Diamanda Galás od altri classici…

Certamente! Soprattutto per quanto riguarda il suonare il piano, considerando che ho studiato piano classico prima di interessarmi al mondo del rock e del metal, musica più aggressiva e scura. Non necessariamente blastbeat e distorsioni, ma comunque più tormentata, e in questo senso artiste come Tori Amos e Fiona Apple erano presenti, anche se si esprimevano in modo molto differente (Fiona Apple mi è sempre sembrata basarsi sul pop jazz mentre Tori Amos aveva dalla sua il mondo del musical drama). Arrivavo a loro tramite della musica classica, spesso della musica classica anche scadente, avevo circa 12 o 13 anni e amavo anche Smashing Pumpkins, Tool (ero una grande fan), ma Tori Amos come pianista aveva un grande influsso su di me perché svelava una sua parte dark. Ai tempi ancora non ero arrivata a Diamanda Galás, cosa che successe tardi, prima arrivai a Jarboe degli Swans, un’altra grande influenza per me. Anche Katie Jane Garaide delle Queen Adreena è stata una grande ispirazione per me. Quindi in definitiva ho ascoltato molte artiste, non solo perché le loro voci si muovevano in uno spettro simile al mio, ma spesso per i contenuti dei testi che erano più vicini ai miei sentimenti. Credo che sia molto importante artisticamente ricevere stimoli e voci da diverse persone che hanno avuto esperienze diverse tra loro.

Hai registrato il disco con Scott MacLean con il quale suoni anche negli Healthyliving. Com’è stato lavorare insieme in un altro contesto, dalla band ad un tuo lavoro solista? Come ha spostato gli equilibri della vostra collaborazione?

Beh, in Healthyliving siamo un team (il trio comprende anche il batterista Stefan Pötsch, ndr), credo che Scott scriva all’incirca l’80% della musica ed io scrivo qualcosa alla chitarra che viene poi arrangiato da lui in maniera migliore, ma lui si occupa della musica ed io dei testi sostanzialmente. I nostri ruoli sono separati e ci aiutiamo l’un l’altro per la creazione, essendo entrambi parti della band in maniera creativa. Maud The Moth è una situazione più bizzarra, perché parte come una vera e propria estensione di me stessa, quando compongo un disco seguo sempre una mia precisa visione artistica e collaboro con persone che possano aiutarmi a realizzarla. Scott è stato molto attivo in questo, portando molte componenti sonore e non limitandosi a star seduto schiacciando qualche pulsante. Ha suonato molti strumenti con molti input per creare questo mondo musicale, quasi come un mentore che si occupasse di amplificare la mia voce ed i miei suoni. Capisci, è il mio partner e mi conosce molto molto bene, sa cosa provo quando suono e sa che l’obiettivo del disco era di replicare quelle emozioni.

Abbiamo registrato piano e voce nelle medesime sessioni in maniera molto simile a come lavoriamo negli Healthyliving, poi siamo tornati sovraincidendo. Lavorando come una band l’intero disco e tutte le dinamiche sono uscite in sessioni comuni poi editate ed ottimizzate.

Per il pianoforte siamo stati in uno studio a Glasgow che aveva uno strumento stupendo e dove abbiamo potuto separare il suono che usciva dallo strumento dalla mia voce, mentre le registravo insieme, cantando e suonando. Abbiamo lavorato così per una settimana guadagnando l’ossatura del disco, lavorando poi su di essa.

Quanto è durato il processo di registrazione in tutto?

Forse tre o quattro mesi, in sessioni separate. Per la batteria, ad esempio, ci siamo trovati a Londra con Seb Rochford dopo avergli spedito tutto il materiale, dandogli alcune indicazioni per qualche brano e lasciandogli molta libertà in altre canzoni. Lui ha lavorato sulle sue idee e abbiamo registrato in loco in due soli giorni. Con Alison Chesley, invece, abbiamo lavorato a distanza, ho preparato le partiture e gli arrangiamenti rimanendo aperta ai suoi interventi e alle sue correzioni, lasciandole comunque la possibilità di modificarle come volesse. Ci sono arrangiamenti nel disco per i quali non siamo partiti con delle idee definitive, tipo piazzare un flauto in questo punto preciso. Ad esempio diverse parti di pianoforte sono state doppiate da un moog, per la difficoltà di registrare le parti più basse dal pianoforte con una buona massa sonora. In questo modo le abbiamo “sostenute” dandogli una base molto più forte ed il risultato credo sia che il disco suona come molto naturale ma nello stesso momento non sembra vero. 

Capisco, ed in effetti la sensazione non è di realtà ma di una sorta di magia o mitologia, e questo credo sia molto evocativo! Suonerete The Distaff dal vivo? Come vi muoverete in questo senso?

Sì, negli ultimi anni ho sempre suonato da sola usando dei loop per replicare i suoni prodotti in maniera stratificata. Non uso molti sample e per i prossimi spettacoli sostanzialmente saremo io e Scott, rimanendo… non vorrei dire post-rock, ma credo andremo in quel tipo di ambiente atmosferico, le chitarre e cose così. Non è pensabile di girare in maniera continua con un batterista, per ora, anche se per alcuni concerti specifici lo faremo. Suoneremo all’Arctangent ad agosto a Bristol, un festival piuttosto grosso e speriamo di avere un batterista in quel caso. Stiamo lavorando a diverse date ed in molte di esse saremo un duo.

Speranze di vederti a sud, tra Svizzera ed Italia o per il momento non avete certezze a proposito?

Ci sono alcune cose ma per il momento ancora nulla di concreto. Non ho mai suonato né in Italia né in Svizzera, un pochino in Germania, ma non avendo una grossa fan base in queste nazioni è più difficile che i promoter ci lancino i loro soldi, capisci?

Ovviamente! 

Per il momento sto soltanto suonando senza altri lavori, quindi non ho capitali da investire nella musica. Non so, ma sono molto fiera del disco e spero che questo verrà accolto bene facendo crescere quindi anche la possibilità di suonare in giro. La mia intenzione è ovviamente quella di suonare in giro il più possibile e se riusciremo a farlo la cosa sarà sostenibile. Certamente la realtà musicale di oggi è che tutti possono incidere un disco con facilità, quasi facendoti sentire come tutto sia fattibile e raggiungibile… perché non dovrei riuscire ad arrivare fin là, capisci? Ma con così tanti musicisti la competizione si fa più aspra e bisogna essere molto molto bravi prima di riuscire ad organizzare un tour strutturato e via di seguito quindi incrociamo le dita!

Certamente! Che mi dici invece della Spagna, hai un seguito in loco, ci torni spesso?  

Certo, ci suono regolarmente, l’ultima volta per un breve tour di quattro concerti a novembre, ma ho diversi amici ancora laggiù e spettatori ai concerti che sembrano in crescita, quindi è la parte più facile per me in questo senso insieme al Regno Unito.

Spesso trovo sia difficile venire a conoscenza di musiche attuali dalla Spagna qui in Svizzera ed in Italia, pur essendo vicini e sostanzialmente simili. Conosco soltanto gli Orthodox in sostanza, se avessi qualche consiglio da darmi te ne sarei molto grato! 

Oh conosco molto bene gli Orthodox, sono degli amici e sono stupendi! Se ti piace la musica psichedelica c’è una band chiamata Viaje A 800, hanno inciso un album con una medusa in copertina (Estampida De Trombones del 2007, ndr) che è stupendo! Poi un’altra band, i Mohama Saz, sempre dal sud della Spagna, con diverse influenze di musica sefardita. Anche in Catalunya le Tarta Relena, un duo femminile che mischia musica elettronica e voci, ti sto proprio lanciando quel che mi viene in mente ora. Citerei anche i Ramper, sono cose che apprezzo io personalmente capisci, oh, anche Nudozurdo, adoro quel che fa questo ragazzo! Sono stupendi, adoro le cose sperimentali più bizzarre… 

Anche noi, grazie mille per le dritte Amaya! Io credo di aver finito con le domande, non so se tu voglia aggiungere ancora qualcosa, da parte nostra grazie mille ancora! 

Non saprei, grazie mille per aver prestato attenzione al mio lavoro, spero veramente di riuscire a venire a suonare in Italia prima o poi, ci sono stata diverse volte in vacanza e l’adoro! Spero solo di riuscire a conoscere quante più persone possibili, uno dei miei migliori amici qui in Scozia è italiano, vive a Glasgow. Credo ci siano molte cose che ci avvicinano fra la cultura italiana e spagnola e spero di potermi connettere al più presto con un futuro pubblico vicino a voi! Grazie mille di tutto!