MATMOS, 14/3/2013
Torino, Molodiciotto.
È la terza volta che mi imbatto nella dimensione live del duo di San Francisco, e questa credo che sarà anche l’ultima.
Presentano il recente lavoro uscito grazie al nuovo sodalizio con la Thrill Jockey (The Marriage Of True Minds) e confermano quanto di buono (e meno) hanno fatto fino ad ora. Drew Daniel e M. C. Schmidt sono i soliti giocherelloni intellettuali, adorano armeggiare con i più svariati generi musicali ed agitarli fino a creare una poltiglia ai limiti dell’improponibile, che poi ha in definitiva una missione, quella di far divertire il pubblico che va a vederli. Il locale torinese è capiente ed accoglie senza problemi un nugolo di persone (non c’è il tutto esaurito però, ma si sa, la data infrasettimanale di solito non aiuta) che si godono un’esibizione architettata con saggezza (mi piace sottolineare anche la notevole acustica del locale, finalmente niente bugigattoli adattati a…).
In soldoni: un’ora e un quarto di variazioni sul tema dell’exotica (nel finale citano pure Martin Denny), mescolata con elementi di post-rock, glitch, concreta, e chiari passaggi odoranti ipnagogia e consequenziali rilasci psych (“Very Large Green Triangles”). Il citazionismo del duo, che per questo tour si fa coadiuvare anche da un chitarrista e da un batterista, è chiaramente la sua forza, ma anche il suo limite secondo me. Troppo spinto in quel senso e troppo esposta in quella direzione la macchina performativa dei Matmos; insomma si gioca a carte scoperte e non c’è nessun mistero che seduce le mie fantasie. Come nelle precedenti occasioni la storia si ripete: si spingono addirittura a citare il black metal e il punk rock dei Buzzcocks in “ESP”, senza dimenticare una vena kraut (ma giusto una spruzzatina) chiaramente adatta a una dimensione da locale dance che piace agli astanti, giustamente presi dal bere e ballare all’occorrenza. Tutto ciò non è un male, sia chiaro, ma – al di là della performance tout court dalle evidenti aspirazioni “teatrali” – non si va oltre una malcelata voglia di sfondare in altri ambiti (ce li vedo bene a suonare a una sfilata di moda, magari per un Alexander McQueen, e mi sa che l’hanno già fatto). Pure una dimensione simile non è male, ma davvero poi il tutto assume solo uno scopo vicino all’arredamento sonoro, che fa tanto rivista patinata con pubblicità très chic e niente di più. Non a caso, Daniel indossava una specie di giacca-bolerino fighetto e borchiato con la scritta Merzbow, come dire un colpo al cerchio e uno alla botte (di un certo immaginario). A conti fatti il pastiche sonoro dei Matmos è divertito più che divertente, e sa di rilettura furbetta di tanti codici già ampiamente sviscerati dall’Europa che conta (i nomi li potete intuire facilmente).
Chiusura con veloce bis finale e poi tutti a casa.