MASSIMO OLLA, Structures
Tra sardi d’adozione o d’origine (Becuzzi, Balestrazzi, Altieri, Mirko Santoru, ma non solo…) l’isola, credo senza saperlo, è attraversata da una forte corrente sotterranea, che poi si può nominare in diversi modi (post-industrial? Vedete voi). Tutte queste persone collaborano, forse influenzandosi reciprocamente, forse no, e con esse c’è anche Massimo Olla, che tra l’altro è fornitore di molte di loro, dato che costruisce strumenti (questo, come già scritto mille volte, succede spesso in campo industrial) metallici e compatti, battezzati [d]ronin: con i giusti effetti, mi sembra di capire che dai [d]ronin si ottengano ovviamente bordoni e rumori, e che poi ci sia la possibilità di sfruttarli come percussioni.
Con Structures Massimo esplora le possibilità della sua stessa creazione (i due progetti suonano diversamente, sia chiaro, ma non siamo distanti dagli ultimi Emptyset quanto a idee generali) e di altri oggetti, tirando fuori un disco di sette tracce che in alcuni momenti ricorda gli esperimenti di Friedl sulle corde del piano, in altri il suo amico Becuzzi, in altri ancora ha un che di primitivo/primordiale (in questi casi io penso sempre ai Contrastate, ma ciascuno ha i suoi riferimenti) e spesso è sinistro e disturbante come ogni buon album dark ambient dovrebbe essere. Ci sono persino delle parti vocali che nel migliore dei casi finiscono per far pensare allo stile di Attila Csihar (o a quello dei Phurpa), in altri andrebbero lasciate perdere.
A Structures di base non manca nulla, dato che i suoni hanno una fisicità incredibile e un timbro molto personale (e spaventoso). Visto come vanno le cose, venderà forse dieci copie, perché del resto comprarsi l’ennesimo mezzo split in edizione limitata di quello scemo di Trepaneringsritualen è molto più à la page. Peccato per voi.