MASSIMO MARTELLOTTA, One Man Sessions Vol. 5 – Just Cooking
Dopo quattro volumi, col quinto giunge al capolinea questa serie di lavori in solo per Massimo Martellotta, la mente dei Calibro 35.
Se in alcuni casi i precedenti mi avevano entusiasmato, a questo giro alle mie orecchie il disco suona più come una raccolta di appunti che non rende giustizia al talento di un musicista capace di sbalordire. Questi son pezzi che rivelano ancora una volta la grande dimestichezza del compositore nel muoversi con assoluto agio tra memorie dei Beastie Boys di The In Sound From Way Out (“Carbonara”), library music (“Hummer Milkshake”), groove funky (“Big Burger”) e un mood in generale molto, a volte forse troppo, leggero. Del resto, Martellotta in questo disco sta solo cucinando, mescolando i vari ingredienti in maniera molto rilassata e non tutte le ciambelle riescono col buco. L’ispirazione e l’urgenza in questa tornata paiono latitare. Musica che sembra una perfetta colonna sonora per film in pellicola, ma che, mancando le immagini, non ci regala a questo giro visioni. L’afrobeat direzione Saturno di “Spacey Kudu” non convince , resta a metà del guado tra ipnosi cosmica e febbre ritmica inespressa, il funk classico ed asciutto di “Midnight Stack” funziona invece a dovere, mentre “Foie Gras” guarda agli Heliocentrics senza però suonare altrettanto profonda e vertiginosa. Anche “Pasticciotto” passa senza lasciare traccia: è ottimamente eseguita (doveroso ricordare come Martellotta suoni tutto, chitarra, basso batteria e wurlitzer) ma con questo geniaccio ci viene naturale essere esigenti. Molto interessante e azzeccatissimo il finale con il groove tra desert blues, kraut e funk blu di “Zighini”, quasi un incontro a un crocicchio tra Tinariwen, Keziah Jones e Can. Se questo pezzo fosse stato arrangiato – magari con i fiati – e sviluppato su tempi più lunghi, avremmo avuto un mezzo capolavoro.
Restiamo con un po’ di amaro in bocca per via di qualcosa che suona più come una collezione di spunti che un lavoro compiuto e meditato. La sensazione è simile a quella che ho avuto a suo tempo con l’ultima stagione di Breaking Bad, la quinta, che non aveva alzato il livello dei fantastici episodi precedenti. La musica può (deve? Chissà…) essere una droga, un’esperienza: in questo caso non ho viaggiato, se non con l’ultimo pezzo, davvero ottimo. Stavolta mentre ascoltavo non mi sono mosso di un centimetro da dove ero fisicamente, mentre le altre volte mi era capitato di ritrovarmi altrove.