MARTYNA BASTA, Slowly Forgetting, Barely Remembering
Un disco d’esordio convincente ci aveva introdotto sul finire del 2021 nell’universo sonoro di Martyna Basta, fatto di trame elettroacustiche, field recordings e modulazioni vocali che intersecava ottenendo frammentarie tessiture sinestetiche con cui dava corpo a sensazioni connesse a una quotidianità ottundente. Il secondo tassello discografico della sound artist – sempre pubblicato dalla slovacca Warm Winters – riprende l’identica materia per condurci in un ambiente d’ascolto ancor più ipnotico, concepito come un viaggio introspettivo lungo il bordo labile della memoria. In tal senso Slowly Forgetting, Barely Remembering è innanzitutto una promessa mantenuta.
A variare rispetto al debutto è la costruzione del flusso, maggiormente strutturata anche se sempre tendente all’impressionismo, e il ricorso a linee melodiche nitide – soprattutto chitarra e zither – che riavvicinano alla sua formazione classica questa poliedrica artista polacca. L’ambivalenza dettata dalla compresenza di risonanze astratte, frutto di una marcata manipolazione, ed echi naturalistici – dicotomia saldata appunto dai fraseggi strumentali – trova efficacia esemplare sia nella deriva dilatata di “Podszepnik I” che nella condensata title-track, dimostrando quanto la combinazione valida degli elementi si presti a confluire in risultanze cangianti. Ad acuirsi è l’atmosfera ipnagogica di un insieme che ha nel dato reale, pesantemente trasfigurato fino a divenire allucinazione, il suo punto di partenza, attitudine accostabile alla pratica diaristica di Claire Rousay, non a caso presente con la sua voce filtrata dall’auto-tune in “It Could Be As It Was Forever”.
Lo sviluppo è lento, a tratti contorto, ma l’inquietudine che sottende riesce ad essere profondamente ammaliante, specchio di un immaginario carico di enigmatico magnetismo.