MARTINA BERTONI, Music For Empty Flats
Fa tutto in perfetta solitudine, Martina Bertoni. Music For Empty Flats è stato da lei interamente composto, eseguito e prodotto (persino la foto di copertina è stata scattata in prima persona). Dopo varie collaborazioni importanti (a partire da quella con Teho Teardo e Blixa Bargeld), colonne sonore e un paio di ep, il percorso in proprio era stato affrontato per la prima volta sulla lunga distanza appena lo scorso anno con All The Ghosts Are Gone, pubblicato dall’etichetta islandese Falk. Uscito a fine gennaio per Karlrecords, Music For Empty Flats estremizza la dimensione individuale sin dalla sua genesi, visto che la musicista italiana residente a Berlino ha trovato ispirazione in un soggiorno invernale, svoltosi nel periodo natalizio, nei pressi di Reykjavík. Ho avuto la strana opportunità di trascorrere parecchio tempo ascoltando musica, da sola in un nuovo appartamento non abitato, quindi completamente spoglio. La distopia di un paesaggio esterno contrassegnato dalla neve e dall’oscurità, dagli estremi del bianco e del nero, si è dunque riflettuta nel vuoto assoluto degli interni, in linea attitudinale con la tendenza alla sottrazione dell’album che da lì è stato delineato, in tempi per giunta in cui la pandemia ha ridotto all’osso le nostre interazioni umane (o quantomeno sociali).
Gli unici arredi delle sette tracce in scaletta sono violoncello, impiegato come sorgente di suoni che vengono poi riverberati ed elaborati con feedback e basse frequenze, ed elettronica, tra background classico opportunamente decostruito, ambient sperimentale, soundscape e drone music. C’è un’aria ancestrale nelle atmosfere del disco, desolate eppure pacificanti, fatte di ampi spazi e micro-contrasti, di tessiture analogiche e digitali, di essenzialità stratificata e reiterazione, di rarefazioni disturbate (“Bits”), cupezza sottopelle (“Bright Wood”), malinconici anelli di melodie (“In Circles Of Thoughts/Blue Ed.”), maestose profondità (la title-track), moti interiori (“Fearless”), verdeggianti semi-suite neo-pagane (“Moving Nature”), saliscendi ritmici (“Distant Tropics”). In queste stanze di suono, dove appunto non ci sono più neanche gli spettri a cui aggrapparsi, dove ogni cosa è ancora da plasmare e illuminare, si fa puramente i conti con se stessi, oltre che con la creatività dell’eccellente “padrona” di casa.