MARTIN BISI, Solstice
Di Martin Bisi ormai dovreste sapere vita, morte e miracoli, visto che da un po’ si trova spesso ad incrociare le nostre pagine, merito soprattutto della Bronson Recordings con cui il produttore/musicista newyorkese ha avviato una collaborazione tanto fruttuosa quanto ricca di risvolti interessanti. Con Solstice Bisi si cimenta con un’opera a dir poco coraggiosa e allo stesso tempo mette in crisi le certezze dell’ascoltatore che, molto probabilmente, si sarebbe aspettato un lavoro più vicino a certe derive noise o alle di lui radici no-wave/post-punk. Al contrario, una volta iniziato il viaggio tra i due solstizi (uno per lato del vinile) ci si trova catapultati in un vero e proprio caleidoscopio dissonante e a tratti persino cacofonico in cui gli ingredienti sopra citati vengono decostruiti e miscelati con input quanto più disparati possibili, tra voci operistiche, insubordinazioni dal piglio free jazz, persino strizzate d’occhio allo Zappa più iconoclasta (“Waves On My Mind”), linguaggi qui posti al servizio di una sperimentazione priva di freni inibitori e difficile da incasellare all’interno di un percorso convenzionale. Del resto, anche la genesi dell’album segue questa idea del continuo spostamento di orizzonti, con Bisi in perenne viaggio tra le opposte coste degli States e dell’Europa per raccogliere di persona i contributi dei molti collaboratori che lo affiancano. All’interno dell’album troviamo, infatti, a fianco dello stesso produttore qui impegnato con voci, chitarre e synth, Amanda White (voce), Diego Ferri (chitarra baritona), Oliver Rivera-Drew (batteria), Genevieve Fernworthy (voce, tastiere, viola elettrica), Billy Atwell (batteria, percussioni), Joan Hacker (flauto), Sheila Bosco (batteria), Mark E. Miller (batteria). Detta così, potrebbe sembrare che si stia parlando di un album caotico e senza una sua coesione interna, un abbozzo di idee buttate lì a far bella mostra di sé in ordine sparso, magari per offrire all’osservatore scampoli di perizia e abilità nel manipolare i suoni… In realtà il tutto invece appare seguire una trama per nulla casuale e, seppure sembri sempre sul punto di sfaldarsi, regge fino a ricondurre l’ascoltatore sano e salvo in porto. Di sicuro non si tratta di un album semplice o alla portata di chi non abbia una predisposizione naturale al mettersi in gioco per seguire percorsi impervi e lontani dalle strade battute, ma è un fuori-pista di quelli che sanno alettare lo sciatore esperto e donargli scorci e punti di vista difficilmente godibili altrimenti.