MARTA DE PASCALIS, Sky Flesh
Una concezione del suono perfettamente messa a fuoco e un unico strumento con cui darle forma. Sono sufficienti questi due elementi a Marta De Pascalis per plasmare una nuova navigazione immaginifica in un universo introspettivo, fatto di vapori sintetici che affondano le radici in un passato pionieristico nel quale l’elettronica apriva la strada verso la profondità del cosmo. Il lavoro esce – non a caso – per la light-years di Caterina Barbieri ed è soprattutto la tensione verso l’astrazione siderale a fornire un punto di contatto tra le due autrici, al netto di un approccio compositivo per certi versi affine, ma dalle risultanze totalmente differenti.
È lo Yamaha CS-60 il mezzo scelto, synth analogico dalle ampie possibilità espressive con il quale la sound artist romana dimostra di trovarsi del tutto a suo agio. Ne dà prova il trittico di partenza, permeato da modulazioni scintillanti che saturano l’ambiente sonoro con ascese solenni accostabili a quelle delle risonanze dell’organo. Il tono è maestoso, vagamente barocco: nella sequenza di stanze progettate, in cui si entra e poi si esce con immediatezza, senza mediazioni e divagazioni superflue, trovano spazio territori crepuscolari (“Yueqin”, “Glider”), lievemente dissonanti (“Harmonices Infinity”, “Làsciati”), infine nostalgicamente plumbei (“Equal To No Weight At All”). Un ampio ventaglio di suggestioni ad alto tasso emozionale accomunate dall’essere sempre molto evocative, un artigianato sapiente applicato ad un’arte elettronica capace di distinguersi per qualità ed efficacia.